martedì 23 settembre 2014

INDIPENDENZA ENERGETICA NUMERO 2

 dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

DOMENICA 12 FEBBRAIO 2012

L'autosufficienza energetica italiana è possibile


L'informazione/divulgazione in materia energetica segue essenzialmente due grandi filoni: uno catastrofista-allarmista, l'altro ottimista e fondato sulla fiducia nel futuro.
Il primo, per ragioni politiche (ad esempio a sostegno delle tesi ambientaliste e della decrescita) o per ragioni di business (giustificare l'aumento dei prezzi dei carburanti, promuovere la costruzione di nuovi impianti, i programmi di ricerca di nuovi giacimenti, lo sviluppo dei piani nucleari) pone l'accento sugli elementi di crisi: il progressivo esaurimento della disponibilità dei combustibili fossili (che è un dato innegabile anche se non sappiamo quando questi diventeranno effettivamente insufficienti alle necessità umane), l'inquinamento e i disastri ecologici (il riscaldamento globale in primis ma si pensi ai numerosi casi di petrolio riversato in mare da petroliere, da piattaforme off-shore come nel Golfo del Messico, la situazione tragica del delta del Niger) sempre più frequenti e devastanti quanto più diventano estreme le condizioni di ricerca e di estrazione dei combustibili (da ultimo il prelievo, altamente inquinante e distruttivo, delmetano intrappolato nelle rocce), le decisioni strategiche contingenti dei Paesi fornitori (la Russia di Putin con il suo gas, l'Opec) o le crisi politico-militari che li riguardano (Libia, Iraq).
Sul versante ottimista e ispirato alla fiducia nel futuro ci vengono proposte una serie di soluzioni che si stanno prospettando o realizzando o semplicemente per rimarcare le occasioni che ancora non siamo riusciti a cogliere: a cominciare da Rifkin e la sua tesidi un'energia prodotta da una rete di micro centrali domestiche e immagazzinata in idrogeno, il solare (decisamente auspicato dal premio Nobel Rubbia), l'eolico (con la Danimarca che conta di produrre energia entro il 2050 solo da fonti rinnovabili), lecoltivazioni in mare di alghe da trasformare in biomasse, il biogas, la geotermia (indicata come l'oro nascosto nel sottosuolo del sud), le opportunità che possono venire dal risparmio energetico e dalla razionalizzazione della produzione e dei consumi (in tal senso, per citare solo alcuni esempi, gli impianti di microgenerazione realizzati dalla Volkswagen in grado di produrre contemporaneamente calore ed energia elettrica e i brevetti, non presi in considerazione in Italia, per conseguire risparmi nei consumi di benzina delle auto).
E' impossibile per i profani riuscire a districarsi tra tante suggestioni e informazioni (e se i tecnici non sono in buona fede e sono condizionati dai loro conflitti di interesse non possono illuminarci al riguardo).

Facendo la tara di quanto viene detto e scritto, di stime e previsioni, provo a partire allora dalla direttiva europea emanata nel 2008, a seguito degli accordi di Kyoto, per la riduzione delle emissioni inquinanti: il piano 20-20-20. Riduzione del 20 per cento delle emissioni inquinanti, riduzione del 20 per cento dei consumi attraverso interventi di efficienza energetica, approvvigionamento del 20 per cento del fabbisogno energetico da fonti rinnovabili.
Pur potendosi presumere che si sia trattato di un programma prudenziale e frutto di compromessi tra i vari interessi in campo, il risultato sostanziale atteso è di una riduzione del 40 per cento del consumo di combustibili fossili. Si può dunque immaginare che, anche tenendo conto dei progressi scientifici e tecnologici intervenuti nel frattempo, spingendo decisamente sull'acceleratore del risparmio energetico e dello sviluppo delle energie rinnovabili, quel 40 per cento potrebbe diventare il 60 o l'80 per cento di riduzione dell'utilizzo di fonti fossili importate che, unito al gas ed al petrolio disponibile sul nostro territorio, potrebbe fornire al nostro Paese una quasi totale autosufficienza energetica.
E' da riconoscere che il mondo delle rinnovabili non è tutto rose e fiori e presenta tutta una serie di elementi allarmanti: l'intromissione delle mafie e comunque di speculatori nella realizzazione di impianti solari ed eolici (prendi gli incentivi e scappa, consumo di terreni agricoli), il pericolo per il paesaggio costituito dagli impianti eolici, l'aumento dei prezzi dell'energia almeno nell'immediato per gli utenti finali e la necessità di ricorrere per lo sviluppo del settore agli incentivi e alle sovvenzioni statali, l'arretratezza della tecnologia e della produzione nazionale (che comporta ad esempio di dover importare dalla Cina larga parte dei pannelli solari utilizzati), il fatto che le imposte sui combustibili rappresentano una fondamentale entrata fiscale per lo Stato e che pertanto cambiando il 'sistema' andrà rimpiazzata in qualche modo.
Ma nel contempo appaiono troppo importanti e assolutamente convincenti le ragioni per promuovere decisamente sullo sviluppo delle rinnovabili: la tutela dell'ambiente, la riduzione dell'inquinamento e conseguentemente delle patologie che da esso derivano (con risparmi futuri, pensando solo alle compatibilità finanziarie, nella spesa sanitaria); il raggiungimento dell'indipendenza in un settore strategico per l'economia senza dover più dover essere soggetti alle tensioni e ai sommovimenti geo-politici così frequenti nel mondo (e sappiamo quanto il petrolio sia all'origine dei conflitti armati recenti, senza il petrolio non si comprenderebbe l'intervento militare in Iraq e in Libia); lo sviluppo di tecnologie, professionalità, imprese, occupazione; la possibilità di riequilibrare in misura sostanziale la bilancia dei pagamenti con l'estero; le minori spese che deriverebbero per il bilancio dello Stato da progressi nell'efficienza energetica degli edifici pubblici; il diventare uno dei leader mondiali nella produzione di una 'merce' (fatta di produzione di impianti e di strutture, di know how) esportabile all'estero, in particolare nei paesi in via di sviluppo.
E' poi da considerare, e non è l'ultimo degli argomenti, la democratizzazione in termini sociali ed economici e dunque politici che si conseguirebbe nel togliere il controllo del rubinetto dell'energia a pochi soggetti (i petrolieri, le grandi compagnie elettriche, i paesi fornitori di combustibili) per trasferirlo nelle mani di una rete diffusa e molteplice di cittadini ed imprese.
Un così vasto progetto (e peraltro lo sviluppo delle rinnovabili era uno dei punti fondamentali, sostanzialmente disatteso come molti altri, del programma che ha consentito ad Obama l'elezione a Presidente degli Stati Uniti) evidentemente potrebbe essere realizzato solo all'interno di un grande e complesso piano di riconversione ecologica dell'economia nazionale per la cui realizzazione si imporrebbero delle scelte nette per il reperimento dei necessari mezzi finanziari: con il no alle grandi opere (a cominciare dalla TAV) e con la fine dello scandalo del CIP6 (gli incentivi per le rinnovabili pagate in bolletta dai consumatori che hanno arricchito e arricchiscono, attraverso l'escamotage del termine 'assimilabile', i responsabili di alcune pratiche (l'utilizzo per la produzione di energia degli scarti della raffinazione del petrolio, l'incenerimento dei rifiuti non differenziati) che nulla a che fare con le rinnovabili e con la tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini).

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