venerdì 31 ottobre 2014

ITALIA E CULTURA:UNA ANTICA STORIA

"Cultura senza Capitale": italiani, riprendiamoci quello che abbiamo inventato

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Un invito a tutti gli italiani di buon senso: riprendiamoci ciò che abbiamo inventato e che, purtroppo, abbiamo tradito, ovvero la cultura come servizio pubblico a sostegno dello sviluppo. E' quello che ci fa, con uno stile elegante e narrativo,Simone Verde nel suo libro, Cultura senza Capitale. Storia e tradimenti di un'idea italiana, pubblicato da MARSILIO nella collana I nodi.

Verde, storico dell'arte e responsabile della Ricerca scientifica per il Louvre di Abu Dhabi presso l'Agence France-Muséums e blogger dell'Huffington Post, vive proprio tra Parigi e Abu Dhabi ed è l'ennesimo valido cervello che ha lasciato l'Italia, un altro di quelli che solo noi siamo capaci di farci sfuggire seguendo una logica tutta nostra e assai difficile da comprendere.
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Se da noi le cose in campo culturale, ma non solo, non vanno nel migliore dei modi, lo si deve proprio ad un atteggiamento sbagliato che ebbe lo Stato italiano centocinquant'anni fa. 
Nel 1861, infatti, il Regno d'Italia non voleva saperne dell'antichità e delle belle arti e tutto fu gestito all'insegna della confusione. Una confusione che pare non se ne sia mai andata e che come ci racconta Verde nel suo libro - che contiene anche un saggio di Andrea Emiliani - fu importata dall'estero. In primis, dalla stessa Rivoluzione francese, che certemente non aveva dato il buon esempio sul saper rispettare e conservare la produzione artistica dei tempi passati. Persino la successiva nazionalizzazione dei beni della Chiesa nel 1789 "non fece altro che sottrarre un immenso patrimonio al suo millenario tutore, privandolo così di ogni funzione".
Dopo l'Unità d'Italia, dunque, tutto quel patrimonio artistico e culturale, sotto la tutela del ministero della Pubblica Istruzione erede del Regno di Sardegna - "l'unico Stato preunitario che non aveva avuto una politica delle antichità e delle belle arti" - fu gestita sin dall'inizio all'insegna del caos. La mole dei musei, delle gallerie, delle pinacoteche e delle istituzioni principesche "richiedeva comunque un'idea, almeno di ordinaria amministrazione, e stimolava più di una fantasia". Eppure, quello che venne fatto in quei primi anni di Unità dal Governo italiano fu più a danno che a vantaggio delle arti.
Una voglia di reagire e di progredire, ricorda Verde, la ebbe proprio in quel periodo lo scrittore, storico e critico d'arte Giovanni Battista Cavalcaselle (1819/1892), che dopo aver partecipato con eroismo al Risorgimento ed essere scampato a una condanna a morte, fu costretto a vivere in esilio a Londra, dove divenne amico del critico Joseph Archer Crowe. Tornò in Italia e dal 1857 al 1861 girò tra i i centri abitati, i monasteri e le chiese appuntando su un taccuino le fattezze di opere ancora ignote per farle confluire in quella che sarebbe dovuta essere una summa inedita d'arte italiana dopo un lavoro di ricognizione sul territorio, la New History of Painting in Italy from the 2nd Century to the 16th Century, scritta a quattro mani proprio con Crowe. Ben presto, però, Cavalcaselle denunciò l'arretratezza e il dilettantismo con cui il ministero affrontava il compito che gli era affidato.
"L'esperienza di questi due anni di Governo italiano ha mostrato che nessuna determinazione è stata presa in questo senso; ed anzi quello che è stato fatto tornò piuttosto a danno che a vantaggio delle arti, onde, per poco che si continui in questa via, avrà il paese a deplorarne delle tristi conseguenze". I problemi continuarono anche quando venne fatta la proposta di un catalogo unico delle opere d'arte esistenti nel regno.
"Al Governo italiano incombe l'obbligo di mantenere la gloriosa tradizione del paese, il quale un tempo anche nelle arti fu primo e maestro a tutti", scrisse lo storico. "Che se noi ci troviamo tanto lontani dai nostri maggiori, facciamo almeno da non rimanere addietro agli altri popoli i quali in questa terra cercano, con grave spesa e fatica, quello che noi dimentichi del passato, e troppo spesso improvvidi dell'avvenire, ci diamo premura di vendere. Spetta al Governo nazionale provvedere perché possa un giorno l'Italia riavere, anche col mezzo delle arti belle, quel seggio, al quale è invitata dalle sue tradizioni e dal suo genio".
Su quella scia, a distanza di secoli, Verde propone la creazione di "un'infrastruttura nazionale che, partendo da una Capitale all'altezza di Parigi, Washington o Londra, restituisca alla cultura la sua utilità e la sua ragione d'essere".
Fa l'esempio dello splendido - ed innovativo per l'epoca - Smithsonian Institutiona Washington, "una capitale fondata tre secoli fa con la certezza nell'universalità della ragione". A volerla fu James Smithson, un personaggio enigmatico morto nel 1829 che lasciò cinquecentomila dollari dell'epoca al governo americano affinchè venisse fondata un'istituzione "per il progresso e la diffusione del sapere" in una città dove, tra l'altro, non aveva mai messo piede. Lì, come in altri posti del mondo come New York e Parigi, la cultura venne sostenuta e continua ancora ad esserlo poiché è stata ritenuta utile, al singolo come alla comunità, perchè capace di produrre maggiore coesione sociale e maggiore consapevolezza, oltre che innovazione. Quindi, nonostante lo "stato culturale", sia un'invenzione moderna con radici italiane, da noi sono mancate e mancano ancora le infrastrutture per promuoverla, oltre che per tutelarla ed amarla.
"La cultura non evoca il futuro ma un universo di conflitti ideologici, di chiusure dogmatiche, di guerre tra specialisti, di crolli e di crisi permanenti", spiega Verde. Per migliorare la situazione, bisognerebbe considerarla come salvaguardia della tradizione e metterla in relazione con l'economia e lo sviluppo. Ancora oggi il sistema italiano risulta, purtroppo, confuso e contraddittorio oltre che per le scelte fatte soprattuto per l'assenza di una visione sistemica dei problemi e l'incertezza dei fini da raggiungere. Se è vero, come scrive, che "I beni culturali vivono e sopravvivono alla storia soltanto se ritrovano un'utilità e una significazione a loro contemporanea", quello che si dovrebbe fare eal più presto, è utilizzare le risorse per creare un sistema unitario e gerarchico capace di gestire nel migliore dei modi il prezioso patrimonio culturale che abbiamo e realizzare cos' condizioni favorevoli alla creatività. Proprio come in passato.
Nonostante tutto, noi siamo fiduciosi che qualcosa del genere possa ancora accadere...

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