lunedì 29 dicembre 2014

valorizzare la cultura imparando dal Quebec

Valorizzare la cultura e investire in ricerca: impariamo dal Québec

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Quello che segue è il testo della mia relazione al convegno "1965-2015: Cinquant'anni di Québec in Italia", tenutosi lo scorso 11 dicembre presso la Sala dela Mercede di Palazzo Marini, Camera dei deputati, a Roma.
Taluni potrebbero accostarsi al Québec con un senso di sufficienza. L'Italia ha tremila anni di storia, il Québec cinquecento. L'Italia è uno Stato, il Québec una provincia di un altro Stato. L'Italia ha 60 milioni di abitanti, il Québec 8. Immagino che quasi tutti i cittadini quebecchesi sappiano dove si trova l'Italia, mentre molti italiani sarebbero incapaci di collocare il Québec su una carta. Si potrebbe essere insomma indotti a guardare e discutere di Québec in tono minore.
La mia proposta, quest'oggi, è invece di guardare al Québec come modello. Quella quebecchese è una vicenda affascinante che può fornire ispirazioni pratiche e ideali anche a noi. È la storia di un popolo che ha lottato da sempre con difficoltà di ogni genere, riscuotendo importanti successi.
Innanzi tutto, i Quebecchesi hanno dovuto affrontare la sfida della natura. Il Québec è un territorio immenso: se fosse uno Stato indipendente, sarebbe tra i primi 20 al mondo per superficie (cinque volte quella italiana). Tuttavia, buona parte del suo territorio è al limite della vivibilità perché occupato da tundra e taiga di clima artico o subartico: la popolazione si concentra in una porzione ristretta, lungo la Valle del San Lorenzo. Anche qui gli inverni sono molto rigidi e nevosi, con temperatura media di -10 gradi. È in questo clima difficile che i coloni quebecchesi hanno dovuto impiantarsi, moltiplicarsi e prosperare. Oggi la crescita demografica del Québec è più che doppia rispetto a quella dell'Italia e l'ambizioso Plan Nord si propone di sviluppare anche la porzione più aspra della regione.
I primi coloni francesi che si stanziarono all'imboccatura del San Lorenzo (scoperta anche grazie a un navigatore italiano, Verrazzano), erano poche centinaia in un continente inesplorato e popolato da genti sconosciute. La vera minaccia non erano però quest'ultime, bensì i molto più familiari inglesi che stavano colonizzando la costa atlantica più a sud. Regioni quelle dal clima più felice e dalla natura più favorevole, in cui - grazie anche alla maggiore spinta demografica dalle isole britanniche - la popolazione anglo-americana cominciò a decuplicare con impressionante rapidità. Una rapidità impossibile da emulare per i Quebecchesi. Nel corso di un secolo scarso, tra il 1688 e il 1763, coloni francesi e coloni inglesi combatterono, parallelamente alle madrepatrie, quattro lunghe guerre in Nordamerica. Quando scoppiò l'ultimo conflitto, nel 1756, i coloni francesi erano 60.000. Quelli inglesi 2 milioni. Un rapporto di 1:33, cui andavano ad aggiungersi il superiore appoggio navale della madrepatria agli Inglesi e il supporto militare offertogli dagli Irochesi. Ciò malgrado, i coloni francesi seppero resistere tenacemente per ben 7 anni. Il merito fu anche delle numerosissime nazioni indiane che li appoggiarono, perché considerati ospiti ben più graditi degli aggressivi coloni inglesi. A differenza di quest'ultimi, i coloni francesi non avevano disdegnato rapporti positivi con gl'indiani, dai matrimoni misti al proselitismo religioso. Un'intera confederazione di popoli, i Wabanaki, era stata convertita al cristianesimo cattolico.
La convivenza coi coloni inglesi, fieramente anti-cattolici, durò per loro fortuna poco. Ma anche nel Canada separato, i francofoni dovevano confrontarsi con un potere e una crescente popolazione stranieri. Nel giro di alcuni decenni, i francofoni si trovarono a essere minoranza nel paese. Essi seppero però battersi sia per la tutela della loro specificità, sia per il progresso civile del Canada intero. L'Assemblea del Québec fu la prima a chiedere a Londra un governo responsabile, e in Québec scoppiò la rivolta che convinse la madrepatria a concederlo. La tutela della cultura quebecchese ha invece richiesto numerosi decenni di lotta democratica, culminata nel 2006 nel riconoscimento da parte dell'Assemblea del Canada di una "nazione quebecchese". È del resto grazie all'autonomia conquistata pacificamente dal Québec se oggi siamo qui a celebrarne i rapporti che autonomamente intrattiene con l'Italia.
Non sorprende che i Quebecchesi abbiano un'attenzione particolare, forse unica al mondo, per tutto ciò che concerne i temi dell'identità e della cultura. Da secoli sono abituati a lottare per difenderle in quella goccia francese nel mare anglosassone e ispanico del Nordamerica. Questa sensibilità sviluppata nel corso della storia fa sì che il Québec dedichi sforzi e risorse ingenti nella promozione della cultura, dell'arte, delle lettere e della scienza. In Canada il Québec ha il maggior numero di ricercatori in rapporto agli abitanti complessivi e investe più d'ogni altra provincia nella ricerca. La spesa per l'istruzione in Québec è pari al 7% del Pil (in Italia superiamo a stento il 4%). Se fosse in Europa, il Québec sarebbe tra i leader continentali in questa particolare statistica. Le rette universitarie sono più basse che nel resto del Canada, per non parlare dei vicini Usa, e Montréal è una delle capitali universitarie mondiali, dietro solo a Boston in Nordamerica. I Quebecchesi sono lo 0,1% della popolazione mondiale ma producono l'1% degli articoli scientifici.
La scienza s'intreccia con l'economia. Lo sviluppo del Québec deve moltissimo allo Stato provinciale, non solo per le sagge politiche in materia di ricerca e cultura, ma anche per il ruolo attivo della mano pubblica tramite grandi compagnie come Hydro-Québec. Gli investimenti sono oggi saggiamente concentrati in alcuni comparti strategici per la salute presente e lo sviluppo futuro del Québec: aerospazio, biotecnologia, tecnologia informatica, energia rinnovabile e altro ancora. Oggi il reddito pro capite del Québec supera di 10.000 dollari quello italiano.
Riassumendo, il Québec si mostra come modello da ammirare e imitare in Italia. I Quebecchesi hanno saputo vincere difficoltà poste dalla natura e dalla storia. E oggi prosperano grazie a scelte strategiche spesso diametralmente opposte a quelle prese dall'Italia: noi ritiriamo lo Stato dall'economia, il loro la anima; noi disprezziamo cultura, ricerca e istruzione, loro le finanziano generosamente; noi abbassiamo continuamente il livello tecnologico dell'attività produttiva, loro investono nei settori più innovativi.
Mi pare siano tutti ottimi motivi per interpretare questo Quaderno di Geopoliticae il convegno odierno non come mere e sterili celebrazioni, ma come atto di un fecondo scambio tra Québec e Italia.

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