martedì 27 gennaio 2015

cosa sta succedendo alla terra dell'Africa

Africa: la terra è finita

CortiAfricairca il 65% della terra coltivabile africana è “danneggiata” al punto tale da non poter più essere produttiva. Lo stesso si può dire del 30% dei pascoli e del 20% delle foreste.
Ecco il resoconto che si può leggere nel rapporto No ordinary matter: conserving, restoring and enhancing Africa’s soils curato dal Montpellier Panel, organismo che riunisce esperti di agricoltura e ambiente europei e africani.
Chi paga il prezzo più alto di questa situazione ? Lo so che non avete dubbi, ma leggiamo cosa scrivono gli esperti nel rapporto: «Il peso di questa situazione è portato in maniera sproporzionata dai piccoli agricoltori perché le caratteristiche naturali dei suoli, la precaria sicurezza agraria e  l’accesso limitato ai mercati (…) li spingono a fare scelte di breve periodo che riducono i guadagni a lungo termine» ovvero cedere le loro terre agli accaparratori. Nella sola Africa sub- sahariana sono colpiti da questa situazione 180 milioni di persone, con perdite stimate in 68 miliardi di dollari ogni due anni.
«Con diritti più certi sulla terra, una maggiore istruzione e più formazione – suggeriscono gli esperti – gli agricoltori potrebbero realizzare le potenzialità produttive, ambientali e sociali che derivano dal possesso e dallo sfruttamento della terra.» E il Montpellier Panel lancia ancora un appello: «Cura e attenzione sono necessarie per un uso sostenibile e produttivo a lungo termine dei terreni africani che costituiscono una parte importante delle terre arabili non occupate nel mondo».
Tra land grabbers (abbiamo parlato qualche giorno fa della responsabilità dell’Europa su questo arrogante furto di terra), speculatori e inquinatori, come possiamo stupirci che gli africani lascino le loro terre?
Anche per contrastare questo fenomeno, nel 2010 Slow Food ha lanciato il progetto dei 10 000 orti in Africa, convinti che un nuovo tipo di cooperazione sia possibile, un modello che coinvolge direttamente le popolazioni locali, che aiuta a riconquistare quella sapienza che permette di riappropriarsi del diritto di accesso al cibo vero.  Ed ecco gli ingredienti degli orti di Slow Food in Africa
1. Sono realizzati da una comunità
Gli orti valorizzano le capacità di ogni membro della comunità, unendo diverse generazioni e gruppi sociali (associazioni di villaggio e scolastiche, amministrazioni locali ed enti no profit), recuperando il sapere degli anziani, mettendo a frutto l’energia e la creatività dei più giovani, avvalendosi delle competenze dei tecnici.
2. Si basano sull’osservazione
Prima di fare un orto bisogna conoscere a fondo il terreno, le varietà vegetali più adatte al territorio, le fonti d’acqua disponibili. Occorre adattare l’orto alle caratteristiche del territorio, trovare sul posto le materie prime per fare la recinzione, la compostiera, il vivaio.
3. Non hanno bisogno di grandi spazi
Osservando lo spazio con occhio creativo, si può scovare un campo adatto per l’orto nei luoghi più impensati: un tetto, un sentiero …
4. Sono giardini di biodiversità
Gli orti Slow Food ospitano la biodiversità locale, che si è adattata al clima e al terreno grazie alla selezione dell’uomo. Varietà nutritive e resistenti, che non richiedono fertilizzanti chimici e pesticidi. E poi piante medicinali, erbe aromatiche, tanti alberi da frutto (banani, manghi, agrumi).
5. Producono i loro semi
I semi sono selezionati e moltiplicati dalle comunità. Così, di anno in anno, le piante saranno più forti e adatte al proprio terreno e non si dovrà spendere denaro per acquistare le bustine
6. Sono coltivati con metodi sostenibili 
Per combattere insetti nocivi o malattie si usano molti rimedi naturali (a base di erbe, fiori, cenere …).
7. Preservano l’acqua
Spirito di osservazione e creatività, ancora una volta, sono fondamentali. A volte una semplice grondaia, una vasca o un serbatoio per raccogliere l’acqua piovana, così come le tecniche agroecologiche per ridurre i consumi d’acqua contenendo l’evaporazione e l’erosione dei terreni, risolvono problemi che parevano insormontabili ed evitano soluzioni costose.
8. Sono aule all’aria aperta
Gli orti sono un’ottima opportunità per far conoscere ad adulti e bambini le varietà vegetali autoctone, promuovere una dieta sana e varia, imparare a evitare le sostanze chimiche, valorizzare e insegnare il mestiere del contadino
9. Sono utili, ma anche divertenti 
Gli orti sono uno strumento semplice ed economico per avere a disposizione cibo sano e nutriente. Ma anche nei villaggi più remoti e nelle scuole più povere, gli orti Slow Food sono al contempo luoghi di giochi, feste e divertimento.
10. Sono in rete
Gli orti vicini si scambiano semi. I più lontani si scambiano idee e informazioni. I coordinatori si incontrano, si scrivono, stringono legami di collaborazione e amicizia. Gli orti scolastici dei paesi occidentali raccolgono fondi per gli orti africani.
Un orto è una goccia nel mare rispetto ai problemi con cui si confronta l’Africa ogni giorno. Ma se di questi orti ce ne sono cento, mille, diecimila, e tutti insieme dialogano e si sostengono, il loro impatto cresce. Insieme, possono trasformarsi in un’unica voce: contro il land grabbing, gli ogm e l’agricoltura intensiva, a favore dei saperi tradizionali, della sostenibilità e della sovranità alimentare. E possono rappresentare una speranza per migliaia di giovani.
Per realizzare 10.000 orti è fondamentale costruire e formare una rete di leader africani. Per questo la Fondazione Slow Food continuerà a sostenere il lavoro dei coordinatori locali, ad ampliare la rete di tecnici africani (agronomi e veterinari), a organizzare scambi di esperienze, a finanziare borse di studio per giovani africani (presso l’Università di Scienze Gastronomiche).

A cura di Michela Marchi
m.marchi@slowfood.it
Fonte: Misna

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