giovedì 29 gennaio 2015

olio in comune contro la mafia

Mettiamo l’olio in comune

by Citta invisibile
62 ettari di terra, con 2.000 metri quadrati di superficie coperta e 22 mila alberi di ulivo: a Collesano (Palermo) i beni confiscati alla mafia sono diventati un'azienda agricola, ma soprattutto un oleificio comunale. Già oggi ci sono 28 persone che lavorano per la potatura, la raccolta e l'aratura. L’ottimo olio che se ne ricava, tra le altre cose, finisce sulla mensa bio e a km zero della scuola. Quanti altri beni confiscati in giro per l'Italia potrebbero essere gestiti in modo analogo?  ol
di Marco Boschini*
Un bene confiscato è una ventata di aria fresca in un territorio in cui lo Stato ricomincia a fare il suo mestiere. È un sasso lanciato nello stagno, la restituzione di un’area alla legalità. Una porta chiusa, insomma, che ricomincia ad aprirsi. L’importante è fare in modo che in questi luoghi possano ricominciare presto a circolare cittadinanza attiva e progetti condivisi. Purtroppo non sempre è così, se consideriamo che dei circa 4.000 immobili in gestione all’Agenzia nazionale quasi 3.000 presentano “criticità”, e più di uno su tre sono di fatto inutilizzabili.
Ecco che allora ogni volta che qualcuno riesce a far tornare i conti e le persone dentro questi luoghi diventa una buona notizia. Siamo a Collesano, quattromila abitanti in provincia di Palermo. Parte del territorio comunale ricade all’interno nel Parco delle Madonie e si colloca sul versante nord-occidentale del gruppo montuoso delle Madonie occidentali.
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Oggi fare i sindaci è diventata una vera impresa. Al di là della demagogia da talk show e del fango che da vent’anni travolge le istituzioni repubblicane, tra patto di stabilità, tagli ai trasferimenti dallo Stato, blocco delle assunzioni e altre diavolerie che non si preoccupano di distinguere il bene dal male (premiando il primo e bastonando il secondo…), metterci faccia e tempo per prestare il proprio servizio civile a favore di una comunità locale è quasi un atto eroico. Soprattutto nei piccoli comuni. Soprattutto se ci troviamo in Sicilia, con l’aggravante di una carenza diffusa di legalità. E con la presenza della mafia.
Giovanni Battista Meli è sindaco dal 2010. Perito agrario e ceramista prestato alla politica, ha recuperato l’arte antichissima di un artigianato tipico che in un tempo passato ha dato lustro al paese, producendo manualmente le antiche maioliche siciliane. In questi anni ha cercato di gestire la quotidianità provando ad immaginarsi un futuro diverso per la comunità. Di qui passano le tante azioni non comuni messe in atto dalla sua amministrazione: l’introduzione della raccolta differenziata dei rifiuti, l’adesione alla strategia internazionale “Rifiuti zero”, la mensa scolastica con i prodotti bio a km zero.
In cinque anni il comune riesce ad intercettare qualcosa come 19 milioni di euro di finanziamenti dalla Comunità Europea, che vengono spesi per la riqualificazione del centro storico medievale; una struttura in bioedilizia destinata alla commercializzazione di tutti iprodotti tipici del Parco delle Madonie; il recupero ambientale di tutti i terreni di proprietà comunale distrutti da un tremendo incendio avvenuto nel 2007; il recupero strutturale di una scuola; l’impiantistica sportiva; il potenziamento della rete museale; la messa in sicurezza delle mura del castello medievale.
“Quando abbiamo aderito all’Associazione Comuni Virtuosi ci eravamo posti l’obiettivo di avvicinarci alle più belle esperienze amministrative in Italia, per apprendere, capire e mettere in pratica nella nostra comunità le esperienze più entusiasmanti, convinti che se si vuole… si può”. La speranza che attraverso una contaminazione dal basso le cose possano cambiare, che per Collesano e tanti altri paesi della zona vuol poter dire evitare che i giovani scappino altrove, svuotando il futuro di una comunità.
Ma la loro vera good news è la gestione diretta di un bene confiscato alla mafia. Parliamo di una proprietà di 62 ettari con 2.000 mq di superficie coperta, che prima apparteneva a un boss della zona e che diventa patrimonio pubblico sul quale realizzare un progetto ambizioso. Perché da queste parti non sono le idee a mancare, quanto le risorse. Il bene confiscato viene trasferito al comune in condizioni pietose. Dopo un primo tentativo di affidamento ad associazioni o cooperative del territorio, l’amministrazione decide di farsene carico gestendo direttamente l’azienda agricola (che trasformeranno in azienda biologica) che vi si trova all’interno. Ci sono 22 mila alberi di ulivo da “rimettere in moto”. L’idea, una volta a regime, sarebbe quella di riattivare completamente l’oleificio e inserire una linea di imbottigliamento. Già oggi ci sono 28 persone impegnate da un punto di vista occupazionale per la potatura, raccolta e aratura. L’ottimo olio che se ne ricava va a finire sulla tavola dei bambini che frequentano la mensa della scuola, alle famiglie dei carabinieri in servizio, alle suore del paese… “Si fa lezione di legalità e senso civico a tavola, dunque, e si insegna ai bimbi con il buon esempio che un’altra Sicilia è possibile”.
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La Mafia così viene messa all’angolo, e perde il diritto di cittadinanza che aveva fino a non molto tempo fa. La Sicilia è una terra meravigliosa ma estremamente complicata e fragile. Progetti che in altre zone d’Italia possono risultare scontati, ordinari, qui diventano eccezionali. Ancora il sindaco: “Amo il mio territorio, che è la mia vera grande passione. Amo la montagna, il mare. Sogno che questo territorio di rara bellezza possa offrire un’opportunità concreta per non far scappare i nostri figli. Lotto ogni giorno per questo”.
Nel libro di Alessandra Coppola e Ilaria Ramoni “Per il nostro bene” (Chiarelettere, 2013), si riporta una convinzione purtroppo piuttosto diffusa là dove un bene confiscato non riesce a riprendere vita, lasciato all’abbandono della burocrazia e dell’indifferenza: “Con la camorra si lavora e con lo Stato si chiude”. Non nella Repubblica di Collesano, dove una comunità di cittadini e di cittadini amministratori ha scelto un altro modo di stare nel presente.

Articolo pubblicato anche su La Stampa.

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