martedì 24 febbraio 2015

che sapore ha il riscaldamento globale?

«Produrre secondo modalità che scaldano il pianeta, deve costare molto di più»

Riportiamo l’editoriale di Carlo Petrini (pubblicato ieri da La Repubblica) a commento dell’articolo il «Cibo del futuro» di Maurizio Ricci. Il tema l’abbiamo affrontato più volte, l’ultima con un articolo che elencava proprio quali fossero i cibi a rischio di estinzione «Che sapore ha il riscaldamento globale?». Insomma gli effetti del riscaldamento globale sulle li conosciamo e purtroppo non sono illazioni da futurologi. Quello che manca è una presa di coscienza collettiva, ma sopratutto un intervento serio da parte di governi e istituzioni. CarloPetrini_Slow Food Archive
Il pensiero di questo pianeta che si scalda è talmente inquietante, e talmente intenso, che molti tendono, quando non a negare l’intera faccenda, a esorcizzarla semplificando, talvolta, in modo eccessivo.
Se bastasse ridisegnare la mappa delle coltivazioni tipiche, sostituendo un prodotto adatto ai climi freddi con uno indicato per i climi temperati, e quello dei climi temperati con uno di quelli buoni per i climi aridi, sarebbe anche una cosa sopportabile.
Ma i cambiamenti climatici innescano cicli di precipitazioni violente, disturbano il ritmo vegetativo del terreno, intervengono nell’equilibrio tra parassiti e piante target, cambiano la temperatura delle acque marine e quindi le condizioni in cui vivono i suoi abitanti.
Gli inverni rigidi disinfestano i terreni dalle larve che i parassiti depositano durante l’estate. Ma se l’inverno non è abbastanza freddo, i terreni custodiranno le uova depositate per poi lasciarle evolvere ai primi calori, con la conseguente necessità, durante la stagione della coltivazione, di trovare rimedi magari utilizzando ulteriore chimica di sintesi, che farà ripartire il circolo vizioso dell’inverno tiepido per non perdere i raccolti.
Lo stesso vale per le primavere che si caratterizzano per una piovosità che non dà mai modo a suoli e vegetazione, di asciugare completamente, diventando il luogo ideale per la moltiplicazione di funghi indesiderati, come la peronospera che l’estate scorsa ha devastato le coltivazioni di pomodori di buona parte d’Italia. Dietro ognuno di questi esempi c’è un’economia più o meno importante che viene danneggiata, uomini e donne che perdendo raccolti perdono clienti, si demotivano, cercano le soluzioni più rapide e spesso queste soluzioni sono alla base, come abbiamo detto, della ripartenza del ciclo.
Inoltre in questo gioco di progressivo accentuarsi dei caratteri meridionali dei climi del mondo, che fine fanno i territori che già sono al limite della desertificazione? Non è che se a Londra c’è il sole allora piove nel Sahara. I terreni che già oggi sono aridi oppure semi-aridi sono i primi a rischiare la totale infertilità, a meno di non creare infrastrutture per l’irrigazione con investimenti che raramente quei Paesi e quelle comunità si possono permettere. Alcune cose le possiamo controllare, noi cittadini di buona volontà, attraverso le nostre scelte quotidiane: le buone pratiche che tutti ormai conosciamo o sulle quali possiamo informarci con facilità, riguardano sia quale cibo scegliere sia quali comportamenti quotidiani tenere (ridurre i consumi di carne; evitare i cibi e le bevande che richiedono molto packaging; evitare ogni minimo spreco; fare con cura la differenziata…). Altre le devono invece attuare, con estrema urgenza, i nostri governi, quelli nazionali e quello europeo: attraverso campagne di formazione e informazione, ma anche attraverso una politica di incentivi e disincentivi.Produrre secondo modalità che peggiorano la situazione climatica, deve costare molto di più. Invece oggi succede esattamente il contrario: il cibo prodotto in base a scelte agronomiche o di allevamento che contribuiscono a riscaldare il pianeta ha costi di produzione bassi, arriverà al dettaglio a prezzi concorrenziali e sarà premiato da consumatori poco informati. Chi invece produce con cura verso la Terra, magari con tempi più lunghi e raccolti meno imponenti, sarà considerato “costoso” e verrà penalizzato dalle scelte dei più.
È tempo di intervenire in questi meccanismi, se vogliamo invertire la tendenza: premiamo il cibo che raffredda il pianeta, sosteniamone la produzione e la diffusione.
Ed ecco alcuni dei cibi a rischio
Pane e pastaSecondo gli scienziati dell’Onu nelle regioni mediterranee come l’Italia il calo nei raccolti di frumento potrebbe superare 1120%
Frutta
Gli inverni troppo miti metteranno a rischio fioritura e raccolto dei frutti con nocciolo (pesche, prugne, ciliegie ecc.) a cui serve il freddo
Cacao
L’aumento delle temperature potrà compromettere l’equilibrio del ciclo degli alberi di cacao (in luoghi caldi come Ghana e Costa d’Avorio)
Vigneti
Lo slittamento previsto verso nord dei territori adatti ai vitigni avrà conseguenze negative sulla produzione di vini e champagne

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