venerdì 27 marzo 2015

fuoriuscire dal carbone con le rinnovabili

La stretta via della green economy, tra lobby fossili e sedicenti ambientalisti

Ferrante: «Insensato confondere un piccolo impianto rinnovabile con una centrale a carbone»
[27 marzo 2015]
Francesco Ferrante
Abbiamo incontrato Francesco Ferrante, un pezzo da novanta dell’ambientalismo italiano, che non si è mai risparmiato nel sostenere e difendere la produzione e l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili e – tra queste –  anche della geotermia.  
Ferrante, lei insieme ad altri volti noti dell’ambientalismo,  tra cui ad esempio Jacopo Fo, avete lanciato la petizione “Smart Italy”,  di cui abbiamo già avuto occasione di parlare, per rilanciare il settore delle rinnovabili; ci può dire come sta andando, cioè se avete trovato terreno fertile, o se invece state incontrando una certa stanchezza da parte dell’opinione pubblica e degli addetti ai lavori? 
«L’appello ha suscitato molto interesse perché ha smosso acque un po’ stagnanti. Per la prima volta , in maniera netta mi pare, abbiamo rotto una barriera che si stava artificialmente creando tra imprenditori della green economy e quelli che io chiamo “sedicenti ambientalisti”. Quell’appello ha avuto il merito di chiarire che c’è un fronte comune su cui lavorare tra chi ha a cuore le ragioni dell’ambiente, dei territori, della lotta ai cambiamenti climatici e chi vuole fare impresa sana e “green”. Ora si tratta di trovare anche forme nuove per rilanciare questo fronte, farlo uscire dal circuito degli addetti ai lavori e farlo vivere nella società e nei territori».
Lei crede veramente che ci sia un serio tentativo per affossare le fonti rinnovabili, sia con lacci normativi e amministrativi sia con la rimodulazione degli incentivi e del meccanismo di funzionamento dei certificati verdi? Quali sono secondo lei le reali forze in campo?
«Certo che è così. Gli interessi fossili minacciati dalle rinnovabili si ribellano, vecchi modi di pensare annidati nelle stanze ministeriali fanno fatica a cambiare. Sono il fronte della conservazione che lotta strenuamente contro quella vera e propria rivoluzione energetica in atto. È anche normale, la “rivoluzione non è un pranzo di gala” disse qualcuno (Mao Tse-tung, ndr) qualche tempo fa: per duecento anni le nostre società industriali si sono basate sullo sfruttamento dei fossili e intorno ad essi si sono create ricchezze, poteri, forze che ora che la sfida per uscire dall’era fossile si fa concreta, ovviamente si ribellano. Da qui quella vergogna dello “spalmaincentivi” da una parte, e il ritardo nelle semplificazioni burocratiche dall’altra».
In un suo recente articolo su La Stampa lei ha definito i comitati che si oppongono alla geotermia come gli “utili idioti” che fanno il gioco delle grandi compagnie delle fonti convenzionali.  Stiamo assistendo a una regressione  culturale per cui forze reazionarie  (sia politiche, sia della cosiddetta società civile che delle multinazionali) ritengono più  opportuno mantenere lo status quo che non andare a sostituire centrali alimentate da fonti fossili con impianti che sfruttano l’energia della terra, del sole, dell’acqua?
«Io faccio una distinzione tra le lobby che si muovono con forza e usando qualsiasi mezzo per difendere le proprie rendite di posizione e il comitatismo locale che (quasi) sempre nasce da genuine preoccupazioni relative alla difesa della salute e del territorio, ma che troppo spesso per ignoranza e populismo confonde un piccolo impianto a biogas con una centrale nucleare o un impianto geotermico di ridotte dimensioni con una centrale a carbone. Questo è insensato e fa obiettivamente il gioco di chi vuole che le cose rimangano così come sono. Bisogna invece mettersi in testa che la rivoluzione energetica auspicabile è quella fatta di mille piccoli impianti a fonti rinnovabili che sostituiscono la megacentrale fossile – quella sì davvero inquinante – e che quindi saranno sempre di più i territori interessati dalla nascita di impianti di questo genere. Bisogna quindi lavorare per inserire anche questi correttamente nel paesaggio e nelle scelte urbanistiche. Bisogna lavorare nel coinvolgimento partecipativo delle popolazioni locali. Ma appunto il dibattito deve essere sul “come” realizzare questi impianti non sul “se”: le rinnovabili sono necessarie, indispensabili e auspicabili».
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