martedì 31 marzo 2015

il prodigio delle rinnovabili


Il prodigio delle rinnovabili
Come distruggere in poche mosse una buona idea

Gli indirizzi europei
Nel 2008 l'Unione Europea emanava una direttiva finalizzata alla diminuzione progressiva delle emissioni di CO2, 20% in meno entro il 2020, con l'intento di sostituire le fonti fossili con altre fonti rinnovabili, nella produzione di energia.
Da allora, sotto la spinta degli incentivi statali, l'energia prodotta da fonti rinnovabili ha avuto uno sviluppo prodigioso.
La richiesta di potenza elettrica nel nostro Paese è stata nel 2014 di 307 Tera Watt/ora.
Quella prodotta a livello termoelettrico è stata di 160 Twh, di cui circa 10 Twh sono stati prodotti da fonti rinnovabili (biomasse).
Quella importata dall'estero è stata pari a 40 Twh.
La produzione totale di energia elettrica da fonti rinnovabili è oggi pari al 45% dell'energia prodotta.
Di questa, circa il 25% è prodotta dall'idroelettrico e fa parte dello storico della produzione, così come l'1,5% da geotermia.
Ma circa il 20% della produzione è frutto di questo incessante sviluppo.
La produzione di energia da fotovoltaico è pari a 25 Twh, l'elettricità da eolico a 15 Twh, da geotermia 5 Twh, quella idroelettrica è pari a 63 Twh.
Centrali che bruciano cippato producono energia elettrica per un ammontare di 400 Mw di potenza, pari a 3 Twh.
Da 1300 centrali a biogas si producono 7,4 Twh, pari al 2,5% dei consumi.
L'idroelettrico, il fotovoltaico, l'eolico e la geotermia sono fonti di energia pulita, senza emissioni nocive e quindi preferibili a qualsiasi altra fonte di energia.

Fotovoltaici divoratori di suoli
Occorre sottolineare come circa i 2/3 del fotovoltaico è costituito da parchi fotovoltaici a terra, costruiti col metodo del project-financing, cioè enti ed istituzioni pubbliche che hanno proposto progetti attrattivi per capitali privati.
Inizialmente i parchi fotovoltaici sono intestati ai Comuni, che poi però ne girano la titolarità alle finanziarie che hanno messo i capitali, che ottengono così anche gli incentivi pubblici maggiorati delle spettanze dei Comuni, con qualche dubbio sulla moralità dell'operazione.
Inoltre questi 2/3 dei 25 Twh corrispondono a circa 10.000 parchi fotovoltaici tra i 700 e i 1.500 Kwe di potenza, ognuno dei quali copre circa 3 ettari di suolo, per un totale, così, di circa 30.000 ettari di consumo di suolo, pari a 300 km2, cioè 1/1000 dell'intera superficie del nostro paese.
Che non è poco, sommato a tutto il resto.
Non dimentichiamo i parchi eolici in Appennino, costruiti a detrimento del paesaggio e quasi del tutto inefficienti perché la velocità media del vento non supera i 7 m/s, inferiore ai 12 m/s necessari per una produzione efficiente di elettricità.
Si tratta di pura speculazione, accaparramento di incentivi pubblici senza vantaggi reali.
Un esempio significativo è il parco eolico dei monti dell'Uccellina.

Biomasse, moderni mangia boschi
Ma l'energia da fonti rinnovabili su cui oggi si concentrano maggiormente gli incentivi pubblici è quella ricavata da biomasse.
La gran parte delle 1300 centrali a biogas (80%) è stata realizzata nella pianura padana, notoriamente una delle aree più inquinate al mondo.
Queste centrali dovrebbero provvedere a bio-digestare scarti agricoli, residuo organico della raccolta differenziata e reflui animali, ma in realtà vengono alimentate con mangimi vegetali da coltivazioni dedicate, come nel cremonese, sottraendo così terreno alle coltivazioni agricole e inquinando il mercato dell'affittanza agraria.
Il biogas per poter essere utilizzato al meglio nei motori a cogenerazione deve subire una complicata serie di depurazioni, senza le quali si ha malfunzionamento, addirittura corrosione dei motori e il tutto si riverbera in maggiori emissioni nocive.
Il biogas che esce dal digestore non è pronto all'uso.
Deve essere prima desolforato tramite lavaggio, poi deumidificato tramite refrigerazione, quindi filtrato dalle polveri con filtri a sabbia che trattengono il particolato.
A loro volta le emissioni della cogenerazione prima di poter essere rilasciate in aria devono subire un processo di lavaggio, passare attraverso biofiltri e meglio ancora attraverso filtri a carboni attivi, senza i quali non si abbattono le emissioni odorigene.
Ma tutto questo vale solo nella teoria.
Un impianto a biogas non è subordinato al rilascio di alcuna autorizzazione alle emissioni in atmosfera, ai sensi dell'art. 269, comma 14,parte V del D.Lgs. 152/2006.
Così il computo emissivo, criterio sbandierato dalla Regione Emilia Romagna, va a farsi benedire. Questo criterio limiterebbe nuove installazioni solo in due casi: in sostituzione di vecchi impianti o se l'intervento comporta una diminuzione dell'inquinamento. Cogenerazione e trigenerazione, utilizzo del calore, teleriscaldamento, efficienza energetica, piste ciclo-pedonali...
In pratica si dice che queste centrali sono ammissibili solo se c'è ricupero di calore e se questo serve per il teleriscaldamento.
Ma non avviene mai.
Una pista ciclo pedonale non può certo mitigare gli ossidi di azoto, le polveri sottili e gli ossidi di metalli pesanti. Al limite ci può distrarre dal problema, con una bella sgambata.
Non si è in una posizione di contrasto al biogas tout court.
Il biogas ha un senso solo se serve a trattare il residuo organico della differenziata e i reflui zootecnici, con la finalità di produrre biometano.
Nella pianura padana gli allevamenti zootecnici industriali sono innumerevoli.
I loro reflui, se non trattati adeguatamente, inquinano il suolo e le falde acquifere.
L'utilizzo del biogas in un cogeneratore per produrre elettricità genera emissioni nocive e polveri sottili, ma se lo si utilizza solo per produrre biometano da autotrazione o da mettere in rete allora la situazione cambia decisamente.
Con il decreto governativo del 18 dicembre 2013 il biometano può essere messo in rete e le aziende agricole che lo producono possono aprire impianti di distribuzione di metano per autotrazione.
Gli impianti che producono elettricità col biogas possono passare a produrla col biometano.
Le centrali a cippato, 400 Mw di potenza con una produzione di 3 Twh di elettricità, sono localizzate per la metà in Alto Adige e Trentino e per l'altra metà in Calabria e Puglia.
Al Sud si tratta di impianti dichiaratamente speculativi, volti solo ad accaparrare incentivi pubblici. Sono di proprietà di grandi aziende nazionali e la legna che bruciano arriva via nave.
Si tratta di scarti legnosi del taglio delle foreste equatoriali.
Le emissioni nocive sono imponenti.
In Trentino Alto Adige c'è maggiore attenzione all'ambiente.
I grandi impianti a cippato nascono per iniziativa della regione e dei comuni, fanno effettivamente cogenerazione e il calore, prodotto insieme all'elettricità, non va perduto, viene utilizzato per il teleriscaldamento delle abitazioni. Inoltre, gli incentivi pubblici incamerati vengono usati anche per dotare al meglio la depurazione dei cogeneratori e limitare il più possibile le emissioni nocive.
Tuttavia.
Dove andare a recuperare i 2 milioni di tonnellate di cippato da bruciare ogni anno?
Non certo dai boschi di abeti della valle, che fanno la fortuna turistica di queste regioni.
Il cippato arriva dal porto di Rotterdam, la stessa origine del carburante degli impianti calabresi e pugliesi. E a Rotterdam arriva dai confini del mondo.

Cippato, la versione di Parma
Arriviamo all'Appennino parmense.
Sono sostenibili le piccole centrali a cippato a Km 0 che stanno per essere impiantate nelle terre alte?
La Regione Emilia Romagna ha redatto il nuovo piano forestale per gli anni 2014-2020.
Afferma che sia in atto una forte tendenza all’abbandono delle attività gestionali del bosco e per questo, pur riconfermando la primaria funzione protettiva e di conservazione della biodiversità svolta dalle nostre foreste, crede sia necessario introdurre sul piano programmaticola moderna imprenditoria forestale, soprattutto a fini energetici, della risorsa boschiva.
Si chiama taglio industriale del bosco.
Come in Toscana, che vuole impiantare centrali a cippato per 70 Mw/h elettrici di potenza complessiva da piccole centrali sotto il Mw. per produrre 1/2 Twh di elettricità.
Non saranno nemmeno centrali di cogenerazione, perché d'inverno funzioneranno come quella di Monchio solo per scaldare edifici pubblici e famiglie collegate e d'estate solo per produrre poca elettricità con un'efficienza del 10%.
Le centrali toscane utilizzeranno cippatura di ramaglie, sfalci lungo le strade e scarti di esbosco, non certo legna da ardere che ha un prezzo di vendita al dettaglio doppio rispetto a quello del cippato, 12 euro la legna, 6 euro il cippato.
Ma le stesse centrali a cippato solo termiche, di taglia inferiore al Mw, sono sostenibili?
Molto costose, hanno bisogno di manutenzione importante, non producono posti di lavoro.
La centrale di Monchio, un piccolo paese dell'Appennino Parmense, è costata oltre 800 mila euro. Non possiede filtri per depurare le emissioni, ha un multiciclone che serve solo ad abbattere le ceneri volanti, la fuliggine.
Le centrali dovrebbero servire in teoria ad abbattere le emissioni delle vecchie stufe di paese.
Ma non è più la realtà. Nei paesi di montagna, oltre alle stufe a pellet con abbattimento delle emissioni, si vanno diffondendo soprattutto stufe a legna a riciclo di fiamma con abbattimento dei fumi, il cui costo non supera i 1.000, 1.500 euro.
Coi soldi spesi per la centrale il Comune di Monchio avrebbe potuto regalare una stufa a tutte le famiglie.
In sostanza la AIEL stessa (azienda italiana energia dal legno) che produce sia le caldaie a cippato che le stufe a pellet, ammette che le emissioni di una stufa moderna a pellet o legna arriva a 45mg per Nm3, mentre quelle teoriche di una centrale a cippato sono tra i 75 mg e i 150 mg per Nm3.
Ammette cioè che una centrale a cippato è più inquinante delle moderne stufe da casa.
Mentre la legna bruciata nelle stufe è di proprietà e ben stagionata, il cippato da ramaglie e da scarti di taglio è molto umido, brucia male ed ha emissioni che vanno ben oltre quelle dichiarate.
La centrale a cippato viene impiantata nel borgo capoluogo del Comune e del teleriscaldamento ne usufruiscono solo i residenti.
E tutti gli altri che abitano nelle frazioni?
Per loro il comune non spende un soldo.
Le centrali a cippato solo termiche sono uno specchietto per le allodole.
Come si è visto a Monchio ad esse si aggiungerà una turbina per produrre elettricità, come nei piani della Regione Toscana, assolutamente senza fare nemmeno cogenerazione.
E la scelta dell'Europa, quell'indirizzo virtuoso e denso di futuro?
Se ne andrà in fumo.
Di cippato.

Chi decide?
A determinare le decisioni delle istituzioni, UE, governi degli stati ed amministrazioni locali, sono le lobby della combustione, il settore industriale di riferimento, che per il nostro Paese è costituito dalle grandi utilities degli inceneritori, Iren, A2A, Hera, da AIEL per caldaie a cippato e stufe, da Termoindustriale per i motori lenti da cogenerazione.
Lobbies che decidono assieme alle istituzioni il livelli di emissione, magari addirittura superiori a quelle in vigore nel nord Europa se gli impianti prodotti non sono in grado di rientrarvi, se la tecnologia per abbattere le emissioni è troppo complessa e costosa.

Giuliano Serioli
30 marzo 2015

Rete Ambiente Parma
per la salvaguardia del territorio parmense

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Con preghiera di pubblicazione
Grazie
Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
per la salvaguardia del territorio parmense

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