martedì 28 aprile 2015

di là del filare

Dall’altra parte del filare

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L’anno scorso ho vendemmiato tre o quattro giorni insieme a un ragazzo africano. Una mattina eravamo sullo stesso filare di vermentino: io da una parte lui dall’altra. Facemmo una fila senza parlare riempiendo mezza cassetta a testa. Attraverso qualche cenno di intesa avevamo capito come l’uva non fosse molto bella e toccasse selezionare al massimo i grappoli.
Al secondo giro, gli chiesi se parlasse italiano. Mi rispose di si. Merito di una studentessa di enologia che prestava volontariato insegnando italiano al loro centro di accoglienza. Era stato uno degli occupanti dell’ex centro di accoglienza di via Pietrasantina a Pisa. Era un profugo, come gli altri ragazzi africani in vigna, uno dei 30.000 che nell’estate 2011 attraversarono su un barcone il Mar Mediterraneo, dalla Libia all’Italia.
CNel 2013 verso febbraio, alla fine dell’emergenza Nord Africa, badate bene “alla fine dell’emergenza Nord Africa”, il governo tagliò gli stanziamenti verso i rifugiati (circa 50 € al giorno a testa). Il centro di accoglienza di via Pietrasantina, luogo degradato della città, doveva essere chiuso. Lui e altri 20 decisero di occuparlo non sapendo dove andare. Accanto a loro, tanti studenti universitari e membri di varie associazioni, intenzionati a garantire assistenza a dei loro coetanei. Da Marzo 2013 iniziò l’occupazione dello stabile. L’esperienza fu positiva tanto che il centro diventò un luogo di promozione sociale. Nove mesi di cambiamento che si concretizzò nella realizzazione di un orto comune, laboratori di artigianato, lezioni di italiano, inglese e arabo. Grazie all’impegno dei ragazzi italiani, protagonisti dell’occupazione, la macchina delle istituzioni riuscì a muoversi, garantendo una possibilità di futuro a qualcuno di loro.
Durante la raccolta, mi raccontò che era nato in Ciad, ma viveva in Libia al momento dello scoppio della guerra. La vita era diventata impossibile, la morte un’esperienza quotidiana; l’unica via d’uscita era la fuga. Guardavo questo ragazzo di venti anni che stava vendemmiando insieme a me. Il caso aveva deciso che la mia storia fosse diversa dalla sua, che io fossi dall’altra parte del filare. Non sapevo nemmeno in che punto esatto dell’Africa si trovasse il Ciad, quale fosse la capitale, mi vergognai della mia ignoranza (a casa guardai insieme ai miei figli la cartina dell’Africa). Tentavo di immaginare cosa si provasse ad attraversare il mare, di notte, da soli, senza speranza se non quella di rimanere vivi. Il mio pensiero non riusciva a trovare un appiglio, talmente impossibile mi pareva l’ipotesi. Mi diceva che Pisa era una città accogliente. Si divertiva a vendemmiare ma non capiva perché si dovesse aspettare ancora qualche giorno per cogliere le altre uve bianche. Gli spiegai come mai si separassero i vitigni e le fermentazioni. Dopo tre giorni la mia vendemmia finì, lui e gli altri avevano da lavorare almeno un altro mese.
b21c55ee90_4277690_medQuesta storia mi è venuta in mente quando ho appreso del naufragio del peschereccio egiziano, tomba di circa 900 persone. Il numero impressionante è ciò che ha acceso i riflettori su una lenta tragedia, la cui frequenza rischia di anestetizzare le nostre coscienze. Rimarrà poco di questa vicenda dopo le tanto eclatanti quanto vuote dichiarazioni dei politici. Non dovrebbero essere i numeri a raccontare di queste persone, ma i nomi in cui sono racchiuse le loro storie. Perché nella traversata maledetta si perde tutto, tranne il nome. Ho pensato a quel ragazzo con senso di colpa perché io non ricordo il suo nome. L’ho dimenticato dopo qualche giorno dalla mia vendemmia.
Sull’esperienza dell’occupazione dell’ex centro di accoglienza di via Pietrasantina, è molto interessante l’audio-documentario trasmesso recentemente da Radio Tre. Il programma è Tre Soldi e il doc intitolato L’obbedienza non è più una virtù di Mimma Scigliano, trasmesso i giorni 17, 18, 19 marzo scorso. Lo potete ascoltare a questo link.

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