domenica 26 aprile 2015

i profughi sono già cittadini europei

I PROFUGHI SONO GIA' CITTADINI
EUROPEI
Di Guido Viale
L’Europa va ricostruita dalle fondamenta, a partire dalla ridefinizione dei suoi confini. L’Europa che c’è ora
si sta sfaldando perché è incapace di fronteggiare le tre principali sfide che i suoi popoli devono
affrontare: la sfida ambientale (di cui i cambiamenti climatici sono il risvolto più pericoloso); quella
economica, che vuol dire reddito, lavoro, casa per tutti e meno diseguaglianze; e quella dei profughi.
Profughi, non migranti;gente che preme ai confini dell’Europa non alla ricerca di una “vita migliore”, come
negli scorsi decenni, ma per sfuggire a guerre, stragi, morte per fame e schiavitù. Tre crisi
interconnesseche richiedono uno sguardo alto sugli orizzonti, senza il qualevien meno ogni ragione di
sovrapporre un’entità regionale come l’Europa a quelle di Stati nazionali ormai palesemente inadeguati.
Eppure, nel dibattito politico il tema della crisi ambientale è ormai affondato, sommerso dalle
preoccupazioni finanziarie; l’economia, che dovrebbe essere scienza del ben amministrare la casa
comune, si è ridotta a una misera partita doppia del dare e del prendere, dove prendere, per chi ha il
bastone del comando, ha preso di gran lunga il sopravvento sul dare. La questione dei profughi, finora
considerata marginale (quasi un incidente di percorso) è la più grave e urgente, perché riassume in sé
tutte le altre; ma ridisegnerà i confini dell’Europa e le sue fondamenta.
Una classe dominante tirchia e vorace, prigioniera della dottrina senza fondamenti e fallimentare della
privatizzazione universale di tutte le cose (il “pensiero unico”), cerca di eludere i problemiposti dalla crisi
ambientale globale, dall’”emergenza profughi”, dalle violazioni quotidiane della dignità umana subite da
chi è senza reddito, senza lavoro, senza casa, senza cure, senza famiglia o affetti, senza futuro, con
argomenti quali “non ci sono i soldi”, “non c’è più posto”, “non ci riguardano”. Sembra quasi che il crollo
di Stati e il caos di intere regioni, il protrarsi endemico di conflitti insostenibili, o le stesse guerre
guerreggiateai suoi bordi - a cui a volte l’Europa prende parte, a volte assiste ignava - non la riguardino.
Mentre la stanno trascinando nell’abisso. Un abisso dove si intravvedono già le prime avvisaglie - ma se
ne ascoltano ormai ad alta voce gli incitamenti- di una politica di sterminio. Che differenza c’è, infatti, se
non in peggio, come ha fatto notare Erri De Luca, tra le navi negriere di secoli trascorsi e le carrette del
mare che trascinano a fondo i profughi costretti a salirvi? O, come ha fatto notare Gad Lerner, tra i treni
piombati che portavano gli ebrei ad Auschwitz, per trasferirli subito nelle camere a gas, e le stive dei
barconi dentro cui i profughi, chiusi a chiave, sprofondano in fondo al mare senza nemmeno vedere la luce
del sole? I numeri, direte voi. No! Quelli ci sono. Sono sei milioni – tanti quanti gli ebrei soppressi nei
campi di sterminio nazisti – i profughi che affollano i campi dei paesi ai bordi del Mediterraneo, o che si
apprestano aintraprendere un viaggio della morte verso le coste europee. E se per loro non sapremo
mettere a punto soluzioni diverse - perché mancano i soldi, o perché non c’è posto, o perché
sconvolgerebbero il non più tanto “quieto” vivere dei cittadini europei - la sorte che gli prepariamo è
quella: uno sterminio, affidato agli incidenti di percorso invece che ai trasporti ferroviari gestiti da
Eichmann.
Bisogna esserne consapevoli. Che cosa significano infatti le “soluzioni” prospettate dai nostri governanti:
sia italiani cheeuropei? Distruggere le carrette del mare? Ne troveranno altre, ancora più costose e
insicure. Allestire campi di raccolta ai confini dei paesi di imbarco? Ma per farne che cosa? Per trasportare
in sicurezza i rifugiati, di lì verso la loro meta? O per affidare a dittature di ogni genere centinaia di migliaia
di derelitti senza più diritti, né patria, né nome, che prima o poi tenteranno la fuga o verranno sterminati?
Fare la guerra ai paesi da cui si imbarcano? Ma non sono state proprio quelle guerre a creare un numero

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