sabato 30 maggio 2015

Abruzzo,trivelle e silenzio

Le trivelle, il silenzio, e un modo diverso di vivere

by JLC
di Sofia Costanza
Guardavo ammirata il paesaggio sulla strada di ritorno da Lanciano (il 23 maggio, un grande corteo in Abruzzo ha detto no ai progetti di trivellazione dell'Adriatico, sulle ragioni della protesta leggi Di cosa hanno paura in Abruzzo? di Maria Rita D'Orsognandr). La terra era bella, solida e muta, come tutte le grandi anime, che non hanno bisogno di trucco né di pubblicità o clamore per mostrare la propria bellezza. La osservavo: intatta e silenziosa, la montagna sembrava una parete in cui sopravviveva ancora uno spicchio di eternità. Pensavo poi all’”Expo dei popoli”, e ai “territori attraenti”e allo “sviluppo locale”.
Di fronte a quella bellezza immutata, deturpata solo dall’autostrada che si insinuava nella sua pelle nuda, sentivo dentro il grido del silenzio, che reclamava la libertà di possedere ancora un suo spazio.
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Anversa degli Abruzzi
Mi chiedevo se il continuo produrre, se il nostro necessario spostarci, immaginare territori “attraenti” che portino soldi e orde di consumatori e turisti sulle coste, sulle montagne, nelle campagne, a bere vino o ad assaggiare prodotti locali, non sia in fondo motivato da quest’ansia di consumo della vita che ci affanna un po’ tutti e tutte.
Un pullmanna benzina contro le trivellazioni
Mi rendo conto che a volte si può essere ritenute ottuse, tacciate di andar contro un’inevitabile progresso, senza mantenere uno sguardo lucido sulla realtà. È strano in effetti prendere un pullmann a benzina per opporsi alle trivellazioni e al petrolio, ad opere di “pubblica utilità” come l’autostrada che ci aveva portato a Lanciano. Nonostante queste contraddizioni sostenere le comunità che resistono all’usurpazione delle trivelle nell’Adriatico è necessario e ci riguarda tutte e tutti. È possibile mettere lavoro, tempo, energia e intelligenza a servizio di un’economia che non sia mafie, speculazione e desiderio di un’irrefrenabile necessità di espansione di se stessi, di dominio degli altri.
Il silenzio e la pace di una riserva naturale annaspano nel rumore della corsa all’oro, sia questo fama, oro nero dell’Ombrina, acqua della coca-cola company o cibo vestito da “food” servito a Expo.
Il silenzio dei "grandi" media, quello si, è un silenzio che rimbomba nel troppo spazio che possiede. un silenzio grigio e assente come la redazione vuota di un giornale sotto una dittatura.
Aiutare le comunità locali?
A volte ho paura che l’ansia di “migliorare” le cose, di metter le mani sui territori, di “aiutare” le comunità locali a “capire” come meglio “sfruttare” le proprie “potenzialità” , divenga un modo di trasferire la nostra ansia produttivista, l’irrequietezza delle nostre anime verso altri lidi, senza forse saper cogliere la bellezza, muta, immobile, di una terra che chiede più rispetto, meno “necessità” e un po’ di riposo.
So che può sembrare nichilista. So anche che chi abita a Lanciano magari apprezzerebbe la vivacità e la vita di una grande metropoli come Roma. Alcuni avrebbero voglia di più spritze meno pastorizia forse, e la stessa logica esiste in molti altri luoghi nel mondo. A Pikine, in Senegal, le donne a volte non hanno di che curare le proprie figlie, ma non meno possono negarsi il piacere dell’ultimo kitchissimo orecchino made in China. Siamo un sistema trasferito dalle nostre anime al resto del mondo. Garantiamo, col libero mercato, la piena fruizione di beni “inutili” alle donne di Pikine. Niente da biasimare a loro né a noi, la vita ha bisogno della sua leggerezza, dell’inaspettato, non si può controllare tutto né tutto giudicare, per fortuna. Ma mi dispiace vedere artigiani locali schiacciati da un sistema di cose, da una “legge di mercato” che a chi non trova tempo o energie per reclamare diritti e per prendersi cura dell’invisibile, dell’essenziale, regala un consumo compensativo, a poco costo e standardizzato. In fondo kitch come gli orecchini di gran moda a Pikine.
Resistenza creativa
Non possiamo dire “no al petrolio” in Ombrina se i nostri desideri non si nutrono di “energie alternative”, se non aspiriamo a sostituire alla violenza verso noi stesse, allo sfruttamento del tempo delle nostre vite e dei territori, una resistenza creativa, fatta di bellezza, di cura, ricerca dell’equilibrio, gusto del riposo, rispetto del silenzio e degli spazi, condivisione.
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A volte crediamo che “sviluppo” significhi garantire diritti attraverso l’accesso al credito, all’imprenditoria, alla proprietà, come realtà essenziali per costruire la base di ogni diritto.
A volte penso che queste siano posizioni estremamente realiste, ed estremamente illuse al contempo. Il diritto è l’accesso alla propria esistenza, è la cultura, si nutre delle pratiche che costruiamo, delle vite e del tempo di cui ci appropriamo. Il diritto è sostenuto dalle nostre scelte, lo portiamo sulle nostre spalle, si nutre delle nostre aspirazioni condivise. Quando penso all’Expo dei popoli, o alle trivelle nell’Adriatico, li vedo legati in maniera diversa a uno stesso filo: quello che vede nello sviluppo dell’attività “economica” la matrice di tutti i diritti, il nutrimento della vita, la possibilità di “nutrire il pianeta” delle stesse aspettative di profitto di cui ci nutriamo giornalmente per garantirci un futuro, convinti che anche questo si possa acquistare.
Con lo Sblocca italia si è messo a profitto il territorio, il jobs act e la riforma della cooperazione hanno messo a profitto la gratuità dell’azione umana e del volontariato, e l’hanno resa merce di scambio e terreno di conflitto fra lavoratrici e volontari.
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Critica allo sviluppo
Dov’è dunque lo sviluppo? Dal mio punto di vista, immagino uno sviluppo umano nellacapacità di osservare la bellezza di un paesaggio, di star fermi, di osservare il silenzio, di comporre una musica, di sdraiarsi su un prato, a respirare aria che non ci avveleni, mangiando cibo che non ci intossichi, lavorando con la testa e con le mani,recuperando spazio, materiali, relazioni, tempo, camminando senza guardare un cellulare, con lo sguardo aperto, col tempo di fermarci a conoscere un’altra storia o un altro respiro.
Il mare e la terra in Abruzzo come a Roma, come in Senegal sono un patrimonio comune, e forse dovremmo soffermarci ad osservarli di più. Come si può infatti rilanciare “lo sviluppo” se non si mantiene viva dentro un’immagine di pace e di bellezza?
JLC | maggio 28, 2015 alle 8:41 pm | Etichette: Abruzzocritica allo sviluppodecrescitapetrolio | Categorie:News | URL: http://wp.me/p2krhM-1qnj

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