lunedì 31 agosto 2015

Tirreno Power:ricomincia in Regione il ballo sindacale del carbone


Monday, August 31, 2015
Tirreno Power, i sindacati aspettano la convocazione dalla Regione

Tirreno Power, i sindacati aspettano la convocazione dalla Regione

Uiltec: 'Preoccupati per carbone in Liguria'

Vado Ligure. "Siamo in attesa di un nuovo incontro con la Regione Liguria che un mese fa si era presa l'impegno di incontrare l'azienda per poi riferirci sugli esiti dell'incontro. Confidiamo a settembre di poter avere notizie da Genova ma anche dal tavolo aperto a Roma".
Questo il commento sulla situazione della centrale Tirreno Power di Quiliano - Vado, al termine del periodo estivo e in vista della ripresa delle attività del segretario regionale di Uiltec Edo Pastorino.
"E' importante che ci siano risposte chiare in breve tempo anche perché la situazione si è andata complicando in questi ultimi mesi. Sarà decisivo il passaggio istituzionale con la nuova amministrazione che spero ci dirà quali sono le reali intenzioni di Tirreno sul futuro del sito vadese".
Forte la preoccupazione per l'esito di altre partite del carbone in Liguria: "Mi pare - dice Pastorino - che con l'uscita di scena di due importanti impianti nei prossimi anni da quello di Genova a quello di La Spezia, ci siano ben poche speranze di poter riprendere l'attività produttiva di energia a carbone in Liguria".
Antonio Amodio

Finale Ligure:ecatombe del piccolo commercio

Tra cedesi attività e chiusure, ecatombe di negozi nel centro storico di Finale

Dopo il ristorante Patrick, il negozio di abbigliamento Arthemia e sportivo di via Roma verso la chiusura du "Piccoli Giramondo" e "Samoa"

“Piccoli Giramondo” e “Samoa”: sono queste le ultime due attività commerciali, in ordine di tempo, che chiuderanno nel centro di Finale Ligure.
Dall’inizio dell’estate sono però diversi i locali dove sono state abbassate le serrande in maniera definitiva o affissi i cartelli di “cedesi gestione”.  Il ristorante Patrick,  il negozio di abbigliamento per bambini Arthemia e quello sportivo di via Roma. Purtroppo "l'ecatombe" delle piccole attività commerciali non sembra ancora destinata a terminare e si annunciano altre chiusure.
Le motivazioni? Ovviamente diverse. C’è chi è andato in pensione, chi magari ha scelto di cambiare vita, ma chi semplicemente non ce la fa più ad andare avanti, dopo anni di sacrifici, investimenti personali e lavorativi pesanti. “Dopo nove anni e mzzo, spiega Luca Zambruni, proprietario di  “Samoa”, ho deciso di chiudere. Mi sono trasferito qua diversi anni fa da Torino, ho scelto di cambiare vita e fatto diversi lavori”.
“Circa dieci anni fa, spiega l’uomo, ho deciso di aprire questo negozio di abbigliamento sportivo. Dopo tanti sacrifici chiudo perché non è possibile andare avanti così. L’affitto del locale è sempre stato basso e i proprietari dei muri mi hanno aiutato in ogni modo.
“A migliaia di ore lavorative nell’anno,però, deve corrispondere anche un ritorno economico e purtroppo così non è stato. D’estate lavoro molto, ma d’inverno spesso i residenti del posto preferiscono fare acquisti in altre negozi”.
A chiudere definitivamente per la metà di ottobre anche il negozio di scarpe “Piccoli Giramondo”  di via Ferrante Aporti. Tra tasse, bollette e fornitori che chiedono giustamente di essere pagati diventa sempre più difficile arrivare a fine mese.  
Chiusure sparse, che impongono una doverosa riflessione. Un negozio che abbassa le serrande non è una perdita solamente per il titolare, ma per tutta Finale Ligure. Ai turisti e residenti viene a mancare un servizio e i soldi vengono di conseguenza spesi altrove. Un cane che si morde la coda da solo. E i primi a dare una risposta ai commercianti dovrebbero essere gli stessi finalesi, investendo nel tessuto commerciale locale

E se stavolta avesse ragione la Paita? Toti,cavo,Viale,Rixi,...via elezioni subito!!!!

Scontro Paita-Cavo sui lavori del consiglio regionale foto

Paita: "La giunta non ha atti da portare in consiglio o nelle commissioni"; Cavo: "Deve solo stare tranquilla"
Regione. “Un altro mese di vacanza. La giunta Toti non ha atti da portare in consiglio o nelle commissioni. Fino a fine mese solo interrogazioni della minoranza”. E’ arrivato via Twitter l’attacco dell’ex assessore e oggi capogruppo del Pd in consiglio regionale Raffaella Paita alla maggioranza del presidente Giovanni Toti. Al centro gli ordini del giorno delle prossime riunioni dell’assemblea, giudicate un po’ “povere”.
“Da qui alla fine di settembre – spiega Paita – l’assemblea regionale lavorerà soltanto per merito delle opposizioni e delle interrogazioni, mozioni e ordini del giorno che abbiamo presentato e che stiamo preparando. Sul fronte della giunta e della maggioranza invece, a parte un frenetico presenzialismo di consiglieri e assessori a eventi e feste sul territorio, il nulla assoluto”.
Non si è fatta attendere la replica dell’amministrazione regionale: “Di provvedimenti inutili avete intasato la Regione, negli ultimi anni. Anche se vi riposate un po’ non vi farà certo male. Neppure alla Liguria, anzi – ha commentato l’assessore regionale ai rapporti con il consiglio Ilaria Cavo – Provvedimenti in consiglio ne arriveranno, e tanti. Paita deve solo stare tranquilla, non confondere la qualità con la quantità; e neppure essere così superficiale da confondere l’operatività di una giunta (che si è riunita per tutta l’estate, concentrata a produrre delibere incisive e urgenti in tutti i settori) con l’attività finale e legislativa che arriverà in consiglio”.
“Del resto è palesemente assurdo – aggiunge Cavo – che vengano sollevate critiche a una maggioranza che ha convocato un consiglio già per domani, primo settembre (un calendario a cui di certo i liguri non erano abituati) e che per la prossima settimana ha accolto la richiesta delle opposizioni di portare in votazione diverse mozioni. Quanto al presenzialismo di consiglieri e assessori sul territorio, al fianco dei sindaci, è frutto di un patto con i cittadini fatto a inizio legislatura, non alla fine per accaparrarsi voti”.
“Oggi mi sono fatta portatrice di un’esigenza della giunta di soprassedere alla seduta del consiglio a metà settembre, perché gli assessori saranno impegnati in una missione istituzionale a Milano, durante la settimana di protagonismo all’Expo (eventi a cui saranno invitati peraltro anche tutti i consiglieri): meglio questo tipo di impegno e presenzialismo rispetto alle comparsate della Paita in maglia rosa al giro d’Italia, costate quasi 3 milioni di euro ai contribuenti liguri, senza portare un euro di indotto e promozione alla nostra Regione”.

l'uso dell'art bonus

Il pressing di Franceschini: non riduciamo l’art bonus

Festa de l'Unità
franceschini
Dalla Festa de l’Unità, il ministro della cultura si rivolge ai suoi colleghi di governo per mantenere nella prossima legge di stabilità le detrazioni al 65%
INVIATO A MILANO – “Le grandi imprese italiane non stanno facendo la fila per investire. Le risorse private non sostituiranno mai quelle pubbliche, ma devono integrarsi”. È l’allarme – e insieme l’appello – lanciato dal ministro della cultura Dario Franceschini dalla Festa de l’Unità. L’introduzione dell’art bonus sta favorendo gli investimenti dei privati a sostegno di musei e fondazioni ma manca ancora il contributo dei più importanti imprenditori. La strada – insiste Franceschini – è comunque quella giusta. E, aggiunge la responsabile cultura del Pd, Lorenza Bonaccorsi, “anche noi come partito dovremo mettere più energia per comunicare meglio questa opportunità”.
Per questo, il ministro della cultura si rivolge ai suoi colleghi di governo e al premier Renzi in vista della stesura della prossima legge di stabilità: “Si era deciso che le detrazioni per l’art bonus scendessero al 50% quest’anno, speriamo invece di confermarle al 65%”. Franceschini rivendica il lavoro fatto nell’ultimo anno, nell’integrazione di tutela e valorizzazione dei beni culturali. “Non ci sarà mai mai un museo italiano tra quelli più visitati al mondo – spiega – perché noi non abbiamo grandi musei nazionali, ma sono tutti sparsi per il territorio. Lo scorso anno, comunque, abbiamo superato i 40 milioni di visitatori solo nelle strutture statali, quanto i cinque più grandi musei del mondo messi insieme”. Il merito, ci tiene a precisare il ministro, è anche delle nuove politiche tariffarie, che hanno fatto riscoprire le strutture anche agli stessi cittadini che ci passavano davanti ogni giorno ma magari non erano mai entrati a visitarle.
Oltre ai visitatori, sono aumentati anche gli incassi. Da questo punto di vista, però, il nostro paese è ancora lontano dai modelli virtuosi che esistono altrove. “Su 420 musei – spiega Franceschini – solo 4 hanno un ristorante e l’85% non ha nemmeno un bookshop”. Anche per questo, il ministro difende la scelta di alcuni nuovi direttori stranieri per i musei italiani, per importare anche nuove esperienze, e sottolinea la bontà della decisione di rendere autonoma sul piano finanziario ciascuna struttura.
Un passo avanti sottolineato anche da Christian Greco, direttore del Museo egizio di Torino: “Ho trovato le polemiche sui direttori stranieri molto provinciali. Quando io ho diretto il museo di Amsterdam, lì nessuno ha avuto niente da ridire”. L’autonomia finanziaria, poi, rappresenta un’opportunità – spiega – per consentire ai musei di investire maggiormente in ricerca, che è “alla base sia della valorizzazione, sia della tutela”. L’unica critica alla riforma introdotta dal governo riguarda invece la durata ridotta dei mandati dei nuovi direttori dei musei statali (un tema che quindi non lo riguarda personalmente): “I risultati di quello che sto iniziando a fare io, ad esempio, si vedranno se va bene tra dieci anni. All’estero esistono forme di contratto diverse, che consentono ai direttori di andare avanti, ovviamente essendo giudicati sulla base di quello che si fa”.
Infine, Franceschini rilancia anche l’idea dei “caschi blu della cultura”, che dovrebbero tutelare il patrimonio artistico e culturale internazionale a rischio di attacchi terroristici: “Una proposta che ha fatto strada, con un documento approvato dall’Unesco e una discussione all’Onu e una alla riunione dei ministri della cultura di tutto il mondo, che si è svolta qui a Milano. Se il patrimonio culturale è di tutti, deve essere l’intera comunità internazionale a occuparsene”.

(foto di Stefano Minnucci)

Migranti:ma Cameron e il suo governo sanno di che parlano?

DIRITTI

Migranti, Uk: Cameron speri che nessuno rimandi indietro i ‘turisti britannici del welfare’

Giornalista
cameron 675
La politica inglese, come la ricordavo, era una cosa seria; criticabile agli occhi di un meridionale d’Europa per la scarsa partecipazione popolare (in realtà partecipazione c’è ma è tanto mediata da sembrare quasi invisibile) ma indubbiamente un sistema pragmatico ed efficace. Il secondo governo Cameron, invece, con la sua guerra dichiarata ai poveri, interni ed esterni, e le provocazioni quotidiane all’Europa, materializza la distopica società britannica della docu-fiction pre-elettorale di Channel 4 incentrata una eventuale vittoria di Nigel Farage. Solo che alla fine, nella realtà, hanno vinto iTories, abbracciando con entusiasmo la “politica da pub” dei protagonisti Ukip: ovvero quando le chiacchiere da bar entrano nella stanza dei bottoni.
Prendiamo la conservatrice Theresa May, ministro dell’Interno in carica e la sua ultima uscita sulla libera circolazione ospitata sul Sunday Times, che a detta della signora, in pratica, ad aver diritto di rimanere sul suolo britannico sarebbero solo lavoratori con già un impiego, e non quelli che cercano un lavoro. Leggendo il titolo delGuardian, che riprendeva l’intervento, ho pensato stessero esagerando: non può averlo detto. E invece si, Theresa May crede, o vuole far credere, che uno dei quattro pilastri dell’Ue sia stato pensato solo per dirigenti d’azienda, maghi della finanza e i “nuovi operai” altamente specializzati dell’IT. Tutti quelli, insomma, che il lavoro lo trovano prima di partire.
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E con questa sparata riesce a superare a destra persino Farage, che le crociate contro le migrazioni interne almeno le limitava al sud-est dell’Unione. L’ennesima crepa nella fragile armaturadel grande malato – l’Ue – è la guerra contro il turismo del welfare, un evergreen che in Inghilterra rispunta periodicamente. Una vera e propria leggenda metropolitana di stato alimentata, probabilmente, dalle immagini quotidiane di file chilometriche agliUk border controls di ogni aeroporto del Regno. Ovviamente, quei migranti europei lì, sono tutti potenziali ladri del ricchissimo e generosissimo welfare che eroga a ogni disoccupato, udite udite, 73 sterline a settimana (in zona euro sarebbero circa 100 euro).
Secondo Theresa May, insomma, orde barbariche di immigrati meridionali  starebbero approfittando della libera circolazione Ue per raggiungere il Regno Unito, e mettere le mani su un prezioso bottino di ben 400 euro mensili, sufficienti in città comeLondra, forse ad arrivare al primo weekend del mese, sperando che il mese cominci di sabato. Il dettaglio non è sfuggito al Consiglio d’Europa che lo scorso anno ha duramente criticato gli scarsi importi  dei sussidi erogati da Londra. Il ministro delle Finanze Ian Duncan Smith, che combatte da tempo una sua personale battaglia contro i benefit  per gli invalidi, fornì una complessa risposta tecnica a Strasburgo: “siete matti”.
Beh, diciamo che in questa vicenda è difficile trovarne uno sano di mente,  se si pensa che a Londra l’affitto di una camera può superare anche mille euro al mese. Per non parlare poi dei “turisti di welfare” britannici in Europa: sono migliaia, sparsi in ogni Paese e percepiscono, soprattutto in Germania, nei Paesi Bassi e inScandinavia,  molto più di quanto prenderebbero nel Regno Unito. Alcune situazioni sono surreali: il numero di disoccupati iberici che percepiscono il benefit in Inghilterra è quasi uguale a quello dei britannici con sussidio in Spagna.
Theresa May e David Cameron devono solo sperare che in caso diBrexit nessuno decida di rimandare indietro i “turisti britannici del welfare” altrimenti, numeri alla mano, il Regno rischierebbe di affondare

Migranti:idee e proposte per l'UE

Temi del Giorno

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AMBIENTE & VELENI

Migranti: né muri né ponti: l’Onu istituisca una ‘New Philadelphia’ nel Nord Europa

Tossicologo oncologo, Componente Osservatorio Ambientale indipendente di Acerra
migranti nave 675Con oltre un milione e mezzo di abitanti nella sua zona centrale, e sei milioni in tutto il suo aggregato, Philadelphia è oggi la sesta città degli Stati Uniti.
Nel 1681, il quacchero William Penn divenne il proprietario di quella che, in sua memoria, sarebbe stata chiamata la Pennsylvania. Egli volle fondare la nuova città ideale di nome Philadelphia (parola che significa “amore fraterno”, dal greco).
Il più grande flusso migratorio della Storia dell’uomo, in corso in questi giorni e ancora sostanzialmente pacifico, benché gravato di migliaia di morti tra i migranti, impone una riflessione internazionale ed un intervento deciso da parte dell’Onu, la stessa Società delle Nazioni che ha imposto al mondo la nascita dello Stato di Israele, in grado di risolvere, nel modo più pacifico ma anche utile possibile, una situazione potenzialmente esplosiva ben più di varie bombe atomiche.
Una proposta forse meno utopica di quello che appare è quello di pensare ad identificare una zona franca internazionale, in zone anche al momento desolate o poco abitabili, dove, con in consistente aiuto tecnologico ed economico internazionale, di gran lunga comunque meno costoso del costruire muri o impiegare una inutile forza militare solo locale, creare una nuova zona di insediamento urbano di migranti, dando priorità e privilegiando la formazione, la cultura anche in special modo dei Paesi di origine, garantendo formazione lavorativa e quindi successiva certificazione di idoneità al lavoro in un un congruo periodo di tempo al termine del quale chiedere al migrante se permane la volontà di andare all’estero o tentare di ritornare in Patria, magari sperando che nel frattempo siano terminate le condizioni di guerra che ne hanno determinato la migrazione.
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A mio parere, i costi e il senso di colpa simile a quello della Shoa che adesso comincia a gravare su tutto l’Occidente e l’Europa sarebbe di gran lunga inferiori avendo cosi la possibilità di indirizzare in modo ben preciso, ma secondo criteri umanitari, i flussi dei migranti.
Va anche ricordato e specificato che gran parte del danno alle loro terre di provenienza non proviene solo dalle guerre, ma anche e soprattutto dai flussi migratori anche quelli senza alcun controllo dei rifiuti speciali ed industriali del mondo occidentale ed europeo nei confronti dei Paesi poveri del terzo mondo.
Studi Onu hanno certificato che in tutti i Paesi del Nord Europa, quelli a minore densità di popolazione ma a maggiore capacità produttiva industriali, oggi esiste una produzione di rifiuti industriali che per i soli Raar (rifiuti dell’elettronica come batterie e cellulari, tv e computer), arriva a una media di circa 25 kg/pro capite/anno nei paesi industrializzati del nord Europa, dove però ne vengono smaltiti localmente, al contrario dei rifiuti urbani solo circa un massimo di 1.5 kg/procapite/anno.
Al contrario, nei Paesi africani, si assiste ad una produzione locale massima di rifiuti speciali e industriali della sola elettronica al massimo di 1.5 Kg/procapite/anno, laddove viceversa avviene lo smaltimento o il riciclo illegale e tossico per una media di circa ed oltre 20 kg/procapite /anno.
Il commercio dei rifiuti speciali e industriali e tossici è oggi la principale fonte di scambio, dopo la droga, in cambio delle arminecessarie per le guerre locali: tu accetta i miei rifiuti tossici, io ti passo le mie armi.
Come non ricordare il caso Somalia e il sacrificio di Ilaria Alpi eMiran Rovatin?
Allora, tra tante proposte anche impossibili e utopistiche e finanche cattive, tipo blocchi navali, mitragliamenti e fili spinati alle frontiere, perché non pensare ad una “New Philadelphia”  europea sotto egida Onu?
I migranti sono esseri umani e fratelli per chi è cattolico: non possono essere eliminati né rispediti nella loro terra che da noi viene devastata con le armi e con i rifiuti industriali.
La sola Ue, dati ufficiali Osservasalute 2014, produce 2.5 miliardi di tonnellate l’anno di rifiuti speciali di tutti i 6.5 miliardi di tonnellate anno di rifiuti di cui solo 5 industriali del mondo.
Questi rifiuti non sono obbligati allo smaltimento di prossimità come i rifiuti urbani, ma sono “merce” in libera circolazione come le armi del mondo industrializzato e in gran parte vengono smaltiti illegalmente nei Paesi poveri, specie in Africa, pagati spesso con le armi. Avveleniamo le loro terre, e poi vogliamo bloccare il flusso migratorio conseguente degli africani: io campano, so bene cosa significa. Il nostro Nord Italia ha già fatto questo con la mia terra.
Prima di pensare ad un blocco navale per i migranti, dovremmo eseguire un blocco navale per bloccare lo smaltimento dei rifiuti tossici e delle armi nelle loro terre dalle quali poi, per colpa nostra, sono costretti a fuggire.
Una idea utopica e meravigliosa come “New Philadelphia”, simile a quello che fu la creazione dello Stato di Israele, mi sembra una minima quanto giusta e necessaria compensazione per la nostra malvagità e cecità di consumatori e capitalisti senza rispetto della dignità di tutti gli uomini di questa terra, navicella spaziale sempre più piccola e a rischio di sopravvivenza.