domenica 30 agosto 2015

sud e PD

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Ciclicamente il Sud Italia diventa materia di studio e di analisi politiche, come un caso clinico che suscita l'interesse di una pluralità di medici perennemente impegnati a definire la diagnosi più che a trovare la cura. Intanto, mentre i medici studiano, il malato muore. C'è una netta prevalenza di consensi sulla necessità di far emergere una classe dirigente che abbia come obiettivo quello di realizzare un nuovo modello di sviluppo economico, politico e sociale.
Come farla emergere è l'interrogativo che da più parti viene posto. Ci si è limitati a circoscrivere entro generici paletti, di genere e d'età, la nuova dirigenza senza affrontare la questione di fondo: la società meridionale sente davvero il bisogno di questo cambiamento? È surreale l'assenza di reazione da parte della società civile, indifferente persino al suo declino. Nel Mezzogiorno si sta registrando da diversi anni un'emorragia di risorse umane qualificate, e le proiezioni non offrono segnali incoraggianti.
Nessuno, sgravio e nessun master plan potrà generare effetti positivi se non si prenderà in seria considerazione la disfunzione sistemica nel processo di selezione della classe dirigente. A tal proposito dovremmo riflettere sulle modalità di rappresentazione della politica, in particolare della relazione tra la società e i politici. Liberare l'economia meridionale dal controllo politico potrebbe essere un primo passo. Non è mistificatorio sostenere che ci sia in larga misura un tacito accordo tra rappresentanti e rappresentati basato sulla cura di interessi particolari.
Risposte individuali, prevalentemente. Una nuova classe dirigente che non dispone di leve di potere, politico o economico, non potrà mai emergere se non attraverso la cooptazione o il ricorso al populismo, in quest'ultimo caso abbracciando l'antipolitica pentastellata. Questo è il sistema bloccato, soprattutto nel Pd. Certamente non bisogna generalizzare, ma fare politica al Sud è decisamente più difficile rispetto ad altre zone d'Italia. Qui la politica è tutto, direttamente o indirettamente esercita un controllo capillare su ogni ambito della vita. Dall'economia alla salute, dall'associazionismo al credito.
Tuttavia, c'è da considerare che il sistema socio-politico che esprime l'attuale rappresentanza a più livelli istituzionali è un sistema di fatto esaurito. È sufficiente vedere quali sono stati gli effetti della pubblicazione dell'ultimo rapporto Svimez: gli stessi a cui assistiamo da troppo tempo. Stesso copione, stessi interpreti. Eppure al Sud non serve alimentare la cultura della lamentazione né è più concepibile, dopo aver dilapidato enormi risorse, agitare la retorica delle potenzialità. Serve cultura dei risultati e d'impresa, autodeterminazione, libero mercato, spesa pubblica gestita senza logiche di ricerca del consenso, efficienza. Dare 3/4 miliardi di euro al Sud, sic et simpliciter, senza una vera primavera culturale vuol dire utilizzare la spesa per consolidare la politica che ha fallito negli ultimi 20 anni.
Al Sud serve una presa d'atto che dia attualità alla celebre frase di Saint-Simon attraverso una cesura tra "i resti di un passato che si spegne e i germi di un avvenire che sorge". Il Pd, forza politica che governa tutte le Regioni del Sud, ha davanti a sé una sfida identitaria: essere il Partito che sostiene l'emersione di una nuova classe dirigente attraverso un cambiamento culturale nel Mezzogiorno, o diventare la causa del populismo. Tertium non datur. Il sud ha bisogno di sostanza politica, non di forma; di risposte profonde e non di effetti speciali. È l'ordinarietà che bisogna ripristinare, perché le misure straordinarie vanno bene in caso di emergenza, ma decenni di agonia non possono essere considerati un'emergenza.

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