Stretto di Messina; foto di © Elio Colavolpe / Emblema
Se un treno impiega tre ore da Messina a Palermo (232 km) e 2,45 minuti da Siracusa a Messina (180 km), è assolutamente inutile fare il ponte ferroviario sullo stretto per ridurre di qualche decina di  minuti la percorrenza verso la Calabria e il Continente.
Sarebbe invece utile, sulla rete ferroviaria siciliana e calabrese, un potenziamento, una velocizzazione e un miglioramento del materiale rotabile utilizzato. A cosa serve accorciare i tempi di attraversamento dello stretto con un ponte costosissimo, di dubbia realizzazione tecnica e privo della domanda di traffico che ne giustifichi la sua discussa realizzazione? E’ tutto da spiegare e il ministro Angelino Alfano, promotore del rilancio di questa nuova grande opera (solo ferroviaria) non ci pensa neppure.
Nell’ultimo ventennio i passeggeri ferroviari sullo Stretto sono calati enormemente, mentre il traffico merci è crollato (come è crollato su tutta la rete del centro-sud Italia). Nel frattempo il traffico aereolow cost (passeggeri) dei Tir (merci) e il cabotaggio marittimo (merci e passeggeri) dalla Sicilia è cresciuto notevolmente. Attualmente sullo stretto da Messina a Villa S.Giovanni si è passati da una ventina di treni nord-sud (Sicilia) a qualche treno giornaliero.
Le navi in linea tra Scilla e Cariddi da quattro sono diventate una al giorno. La domanda di traffico ha cambiato completamente volto.  L’assalto al treno da Milano, Torino e Roma degli anni sessanta  non è che un ricordo. Da una parte le FS hanno tagliato  i cosiddetti treni universali, a favore dell’Alta Velocità, dall’altra il ponte non sembra assolutamente in grado  di reggere il confronto con  una seria analisi della domanda e un’analisi tra costi e benefici.
A chi chiede la brutta copia mediterranea dell’Eurotunnel, va ricordato che il governo inglese non ha speso una sterlina pubblica per la sua realizzazione, e che  i due grandi mercati collegati, quello della Gran Bretagna  e del nord Europa, non sono paragonabili a quello del sud Italia. Le grandi opere sono un’arma spuntata per il rilancio dell’economia, non solo per il sud, ma anche per il nord. Il comparto dei trasporti non ha tanto bisogno di infrastrutture quanto di modelli di esercizio competitivi e di essere liberato, come nel caso di porti, aeroporti e municipalizzate, da gestioni inefficienti e clientelari per togliere il controllo discrezionale della politica.