venerdì 30 ottobre 2015

Turchia una riflessione sui rischi di involuzione autoritaria

Elezioni in Turchia, lo spettro del terrorismo e il rischio di una nuova impasse

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C'è voglia di positività, di scrivere un futuro di pace e democrazia. Comunque. Me lo dice Umut, un ragazzo incontrato sul volo Istanbul-Ankara, tornato a casa per votare. Nonostante sia ancora fresca la ferita del 10 ottobre, quando davanti alla stazione di Ankara 102 persone persero la vita in un attentato. Vite spezzate durante un giorno di protesta pacifica che pesano come un macigno sulla vigilia delle elezioni in Turchia, ma che non spengono le speranze del popolo turco. Domenica la Turchia ritorna al voto a soli quattro mesi dalle ultime consultazioni in un clima tutt'altro che sereno.
Ad Ankara, dove mi trovo in qualità di osservatrice dell'Osce, il clima è festoso, la città è letteralmente tappezzata di bandiere per la Festa della Repubblica e non mancano manifestazioni elettorali per le vie della città, ma lo spettro del terrorismo e il rischio di una nuova impasse politica interna spaventano i turchi. Molti sondaggi dicono che dalle urne di domenica uscirà un risultato molto simile a quello di giugno, con nessun partito in grado di ottenere la maggioranza dei seggi della Grande Assemblea Turca. A pesare sul voto è sicuramente la minaccia dell'Isis: 15 presunti terroristi dello Stato islamico sono stati arrestati ieri a Istanbul nell'ambito di diverse operazioni di sicurezza legate alle indagini sull'attentato di Ankara e le forze anti terrorismo hanno condotto ben 28 diverse operazioni nei quartieri di Bagcilar e Basaksehir.

C'è poi la questione interna. Le elezioni dello scorso giugno hanno registrato un ridimensionamento del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) del presidente Erdogan, che ha visto infranto il sogno di una Repubblica presidenziale e un'affermazione dell'Hdp, Partito Democratico del Popolo, espressione dei curdi di Turchia, che è riuscito a rastrellare consensi anche tra le altre minoranze del Paese, superando la base etnica originaria e territoriale e attraendo consensi da ampi strati liberali e di sinistra. In molti hanno descritto i curdi come i veri 'vincitori' di quelle elezioni. Lo scrutinio, tuttavia, non ha delineato una maggioranza chiara. Davutoglu, chiamato da Ergogan a costituire il governo, non è riuscito a mettere insieme i pezzi all'interno di un puzzle che alla fine non è stato possibile comporre.
Il presidente turco ha indetto quindi nuove elezioni per cercare di sbrogliare la matassa.

Il clima generale in Turchia è tutt'altro che sereno: pesano le continue violenze, non ultimi i fatti di Suruc, dove un devastante attacco suicida ha funestato un raduno di giovani, e i numerosi attacchi alle sedi dell'Hdp. La Turchia rischia di perdere il suo smalto. Era vista come un faro di speranza e un antidoto al fondamentalismo in tutto il Medio Oriente: oggi non lo è più e il ritorno dell'Iran sulla scena internazionale rischia di far perdere ad Ankara la rendita di posizione che ha avuto negli anni. Ankara era un avamposto occidentale, che aveva collaborato al contenimento di Saddam Hussein, svolto una mediazione importante con i Paesi arabi.
Tutti elementi che avevano concorso a riavvicinare Ankara al progetto europeo, ma l'atteggiamento ondivago verso lo Stato Islamico, lo stop del processo di soluzione e l'interruzione della fragile tregua con il Pkk, che era stato uno dei maggiori successi di Erdogan, hanno contribuito ad offuscare ulteriormente l'immagine del presidente turco presso le cancellerie occidentali, seppure non sfugga a nessuno che per l'Europa le buone relazioni con la Turchia sono irrinunciabili, soprattutto nella gestione della questione dei profughi siriani.
Non è solo il quadro politico a preoccupare. Dopo essere stata una delle nuove economie trainanti del Mediterraneo, la Turchia è ora in fase di bassa crescita. Un'inflazione elevata e un grande debito privato. Assenza di un sistema industriale strategico. Boom della corruzione e degli scandali.

C'è poi la questione dei diritti umani, che sono soggetti ancora a fortissime limitazioni, e, non ultimo, un rapporto difficile e complicato tra Erdogan e i mezzi di comunicazione. A quattro giorni dalle elezioni, la polizia turca ha fatto irruzione nella sede del gruppo editoriale Ipek a Istanbul per evacuare i giornalisti e insediare gli amministratori che dovranno sostituirsi alla gestione attuale, accusata di legami con la rete "illegale" del magnate e imam Fethullah Gulen, oggi nemico ma un tempo principale alleato di Erdogan. A sostegno del gruppo Ipek sono scesi in piazza centinaia di dimostranti che si sono scontrati con le forze dell'ordine, le quali hanno usato idranti e lacrimogeni per disperdere la folla e portare al termine il compito di smantellare la sede, dalla quale dipendevano i quotidiani Bugun e Millet e i canali Bugun Tv e Kanalturk, tutti fortemente critici con l'attuale premier. Azioni che hanno suscitato una diffusa indignazione in un Paese che ha comunque una radicata cultura repubblicana.

Situazione difficile e precaria per la Turchia chiamata al voto, dove il rischio maggiore è quello di un risultato elettorale che non dia certezza su chi dovrà governare il Paese. E in un clima che diversi osservatori hanno definito da guerra civile e in un contesto regionale sempre più complicato può succedere di tutto.

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