sabato 28 novembre 2015

appunti su Dio da ecumenici.it

Preghiera e idea di Dio
di Paolo De Benedetti

“I cieli narrano la gloria di Dio”: questa è una bella storia ed è vero. Il fatto, però, che i cieli narrino la gloria di Dio non significa ‘preghiera’. Significa, possiamo dire, ‘una maniera di contemplare il creato’.
In realtà, la preghiera deve arrivare a qualcuno che sente ed ha diritto ad una risposta.
E’ quindi qualche cosa che deve anche cambiare l’idea tradizionale che noi abbiamo di Dio.

Preghiera come culto

C’è, poi, un’altra forma di preghiera di cui parleremo dopo. Per ora la definisco solamente: la preghiera di Dio all’uomo. Anche questa non è fatta di parole, è fatta di domande
Tra questi due estremi, si muove la preghiera intesa nel senso più comune, vale a dire come culto.
Qui abbiamo quella grande tradizione di preghiera che è rappresentata dai Salmi e non solo.
Voi sapete che nell’Antico Testamento ci sono preghiere anche fuori dei Salmi: pensate, ad esempio, alla preghiera di Salomone quando è stato dedicato il tempio; al cantico di Anna, che è il modello del Magnificat, quando lei, che era sterile, sa di aspettare un bambino; il cantico di Debora che è la più antica forma orante di tutta la Bibbia; le preghiere che ci sono nei Profeti…
   
Due ‘piste’ della preghiera

La vita religiosa dell’antico Israele, in realtà, era composta di due ‘piste’: 
- una è la salita a Dio, cioè rendersi conto che Dio è il mio ‘Tu’ e parlare a Dio. (si dice che nell’ebraismo non si deve parlare ‘di’ Dio, ma si deve parlare ‘a’ Dio e ascoltare Dio che parla);
- l’altra è ricevere la parola di Dio.
Queste due piste, in un certo senso, non sono distinte perché la vera preghiera ebraica non è fatta di parole innalzate a Dio, ma di parole che Dio ci ha detto. Come un ritorno, dunque.

Il fumo profumato dei sacrifici

Inoltre, fino all’anno 70 della nostra era, c’era un’altra forma di culto: i sacrifici.
Non è un caso che nella liturgia quotidiana ebraica ci sia una formula che dice:
                        Le parole delle nostre labbra sostituiscono i sacrifici.
Nelle forme più antiche della Bibbia – per esempio quando Noè fa un sacrificio dopo il diluvio – si dice che Dio gode del profumo del sacrificio. Questa è un’immagine molto arcaica della divinità che viene dalla mitologia babilonese. In seguito, al posto di questo fumo profumato che sale su, c’è la preghiera. Tra il grido e la preghiera di Dio, nello spazio intermedio, c’è la preghiera, che è l’essenza del culto.

Comunità orante e devozione individuale

Bisogna dire che nella liturgia ebraica c’è una cosa abbastanza importante: non esiste, come invece accade nel cristianesimo, una differenza sostanziale tra gli atti liturgici formali – diremmo la liturgia nella chiesa, nella sinagoga – e la devozione individuale.
Ogni ebreo pio – mattino, pomeriggio e sera o almeno mattina e sera – dice per conto suo le cose che si dicono nella sinagoga.
Non ci sono le preghiere dell’officiante e le preghiere di casa: è la stessa comunità di preghiera che si manifesta sia dove c’è una comunità concreta sia dove c’è invece il singolo.
Questa identità fa sì che, in fondo, non ci sia un'enorme differenza tra la sinagoga e la casa, tra la comunità orante e la famiglia.

L’insieme delle preghiere rappresenta perciò il filo rosso che tiene legato, nello spazio e nel tempo, l’ebreo (le preghiere s’imparano dalla mamma, anche nel cristianesimo, almeno ai miei tempi); il filo rosso, dunque, che tiene legate le generazioni. Nelle nostre famiglie ebraiche, ad esempio, ci sono i libri di preghiera del nonno, del bisnonno: sono tutti trattati malissimo perché si aveva con questi un’enorme confidenza, per cui nei risvolti di copertina ho trovato, nei vecchi libri appunto,  conti, insolenze di un bambino verso un altro e cose di questo genere, in ebraico, ma anche in italiano o addirittura in dialetto.

La preghiera rappresenta questo filo rosso, ma rappresenta anche – e questo è importantissimo – la consacrazione della quotidianità.
Certo, quando vado in sinagoga e prego, specialmente nelle grandi feste, sono concentrato. La forma della distrazione è diversa rispetto a quella che vediamo nelle chiese: penso che nelle chiese, almeno nella mia esperienza, si dorma qualche volta; nelle sinagoghe, invece, si vagabonda, di va a trovare gli amici, si gira di qua e di là. Ogni tanto l’officiante deve battere forte sulla tribuna…

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