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Non solo numeri ma problemi reali: il rapporto Ecosistema Urbano di Legambiente valuta i capoluoghi di provincia italiani. Il degrado ambientale viaggia di pari passo con quello sociale e, dove il suolo è altamente consumato, la situazione peggiora ulteriormente.

Sono stati diffusi i numeri della 22a edizione di Ecosistema Urbano. La ricerca di Legambiente, Ambiente Italia e Il Sole 24 Ore è ormai un appuntamento fisso di analisi sulla vivibilità dei capoluoghi di Provincia italiani. Si scoprono i migliori ed i peggiori nelle specifiche categorie e si possono individuare le aree in cui il degrado ambientale è più alto.
Se fra qualche giorno a Parigi saranno in discussione i cambiamenti climatici continentali e i preoccupanti scenari futuri, questo studio fa emerge le problematiche ambientali quotidiane delle nostre città che ci toccano da vicino già oggi.
La qualità della vita sociale e la valorizzazione culturale di una città o di un territorio sono strettamente influenzate dalle condizioni ambientali. Lo ricorda anche Papa Begoglio nella sua Enciclica. Degrado ambientale e degrado sociale avanzano insieme con cause intersecate: città invivibili, salute e caos. Una riflessione esplicita sulla negatività del contesto eccessivamente urbanizzato è riportata nel primo capitolo: “Non si addice ad abitanti di questo pianeta vivere sempre più sommersi da cemento, asfalto, vetro e metalli, privati del contatto fisico con la natura.”
Il rapporto di Legambiente (leggi il testo completo) mette in fila i capoluoghi valutando 18 indicatori in diverse categorie: la più analizzata è quella della mobilità (8 indicatori), 3 per acqua e aria, 2 invece riguardano rifiuti ed energia. In testa allaclassifica generale c’è Verbania, davanti a Trento e Belluno. Le 3 città siciliane diPalermo, Agrigento e Messina invece chiudono sul fondo.
Nel comunicato stampa di sintesi diffuso dall’associazione ambientalista si sottolinea che c’è un lieve miglioramento sul tema della qualità dell’aria (meno sforamenti dei limiti di legge) ma si ricorda che questo è avvenuto grazie anche a condizioni metereologiche favorevoli. Per quanto riguarda la mobilità, tematica come detto più sviscerata in quanto più critica, ad una sostanziale stabilità del parco auto-moto rilevata dal rapporto si contrappongono politiche della mobilità definite “in affanno”. Questo spiega, allargando l’orizzonte al di fuori dei limiti della singola città, che le strategie attuali e gli interventi che sono stati fatti (nuove tangenziali e autostrade) non hanno avuto effetti positivi.
Il consumo di suolo non è categoria di confronto tra le città valutata direttamente nel rapporto di Legambiente. La Stampa, presentando le novità sull’iter di approvazione della legge nazionale sul consumo di suolo, ha pubblicato un’interessante mappa interattiva sulla percentuale di suolo consumato a livello provinciale: non si parla quindi di singoli comuni ma si analizza tutto il territorio che orbita intorno ai capoluoghi.
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Le province, organismi formalmente aboliti, rappresentano ancora un ambito adeguato di analisi ambientale. I territori provinciali più consumati da nord a sud risultano essere: Monza, Milano e Varese nel nordovest, Verona, Padova, Venezia, Treviso oltre a Trieste e Gorizia nel nordest. Nel centro Italia il “livello rosso” si registra a Reggio Emilia, Rimini e nella “piccola” provincia di Prato. Verso sud, oltre alla province delle grandi città di Roma e Napoli, sono più consumate rispetto alle altre le zone di Lecce e di Ragusa.
Per contenere il consumo di suolo, a partire dall’ambito urbano dei capoluoghi, la soluzione è chiaramente quella della rigenerazione urbana delle periferie che purtroppo, come dicono i numeri del rapporto, fatica a concretizzarsi.
Dove il consumo di suolo è più intenso, come ad esempio nella provincia di Monza, gli effetti negativi su indicatori quali la qualità dell’aria si fanno sentire. Ma c’è di più: l’impatto negativo del consumo indiscriminato non tocca solamente la vivibilità ma anche sulla sicurezza stessa dei cittadini.
Un altro importante aspetto, non toccato in questo caso dal rapporto ma che viaggia di pari passo, è quello del dissesto idrogeologico. Un pericolo più volte lanciato da Legambiente come da altre associazioni ed esperti. Le notizie di cronaca, anche in questo caso, ci fanno capire che il problema non è teorico e futuro ma reale ad attuale.
Luca D’Achille