martedì 29 dicembre 2015

Bonelli:ma Galletti sa di che parla?



Quel ministero «di consolazione» dato a Galletti con il manuale Cencelli

Aveva definito la legge anti-condoni di Errani «un crimine». Ha cambiato idea Incarichi Per decenni il dicastero è stato considerato uno strapuntino per i partiti minori




Il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti (Ansa)Il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti (Ansa)
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Ops, l’ambiente! L’improvvisa «scoperta» dello smog e di come le polveri sottili uccidano ricorda la sorpresa di certe mogli libertine: «Cielo, mio marito!». Ipocrisie. E certo Gianluca Galletti, per quante responsabilità abbia, non può essere il capro espiatorio d’una politica ambientale troppo a lungo distratta se non suicida.
L’ambiente non è stato per decenni una priorità del Paese. Un dato per tutti: tra il censimento del 1961 e oggi la popolazione italiana è cresciuta del 18,5%, la massa di auto, camion, tir, moto e così via del 1.564%. Evviva: significa ricchezza. La rete di servizi pubblici, però, non è cresciuta altrettanto. Anzi, in rapporto agli spostamenti quotidiani (dallo smantellamento progressivo dei treni per i pendolari allo sfacelo di certe municipalizzate come quella di Messina precipitata a 16 pullman funzionanti in un giorno per 245 mila abitanti) è peggiorata. Può stupire, l’emergenza smog?
Per decenni, parallelamente, quello dell’Ambiente è stato considerato per il manuale Cencelli un ministero di serie B. Un contentino da dare ai partiti minori come il Pli (vedi Alfredo Biondi o Valerio Zanone), a esponenti anomali del Psi craxiano (Giorgio Ruffolo o Carlo Ripa di Meana) e giù giù a figure e figuri di varia umanità, da Valdo Spini a Willer Bordon, da Stefania Prestigiacomo ad Altero Matteoli fino a Corrado Clini, il «tecnico» del governo Monti poi finito nei guai con l’accusa di corruzione. Tutta gente che appunto, al di là di meriti e demeriti, ebbe quel posto proprio perché era uno strapuntino. Magari in attesa di una poltrona «vera» come accadde ad Andrea Orlando promosso poi alla Giustizia. Ma uno strapuntino. E come tale concesso anche a Galletti, bollato subito come il «commercialista di Casini» perché scelto da Renzi («dammi un nome dei tuoi») secondo le più vecchie tradizioni cencelliane.
Angelo Bonelli, il portavoce dei Verdi e di ciò che resta d’un movimento che a suo tempo riuscì ad imporre ministri propri (da Francesco Rutelli a Edo Ronchi, da molti considerato il migliore), gliel’ha giurata.
Cominciò a chiedere le sue dimissioni, accusandolo di inerzia sulle bonifiche all’Ilva di Taranto, nel luglio del 2014. E da mesi bombarda: «Galletti loda l’enciclica del Papa sull’ambiente ma è un ipocrita perché lui ha perfino peggiorato le politiche ambientali: petrolio, trivellazioni, il decreto che consente di scaricare in mare inquinanti oltre limiti di legge, politiche energetiche che hanno affossato le rinnovabili e il solare per favorire gli interessi dei petrolieri...». Va da sé che, esplosa la crisi di questi giorni a Milano e a Roma, ha rincarato la dose: «Galletti non sa cosa dice e, soprattutto, cosa fa e dovrebbe farsi da parte per il bene dell’Italia». Di più: «Parla di situazione eccezionale di questi giorni, ma non dice, volutamente, che l’Italia nel 2015 si trova già da marzo-aprile in emergenza smog per il superamento di limiti di legge delle polveri sottili». Di più ancora: «Solo oggi scopre l’eccezionalità dell’emergenza ambientale e sanitaria, convoca presidenti di regioni e sindaci e ci informa che ha destinato 5 milioni per il trasporto pubblico ai comuni: un’elemosina». Propone un rimpasto: fuori lui, dentro Ermete Realacci. 
Lo stesso Realacci, che pure rifiuta di scaricare tutte le colpe sul ministro («troppo comodo, dopo anni e anni di sottovalutazione del problema»), ammette che la riunione fissata per mercoledì con sindaci e autorità varie dopo giorni di emergenza e polemiche, arriva in vistoso ritardo: «Occorreva, come alcuni di noi avevano suggerito l’altra settimana, più tempestività. Detto questo, non è che puoi chiedere a un ministro di fare la danza della pioggia. E certo non si può risolvere un problema così trovando cinque milioni per i ticket e invitare i cittadini a usare la metro e lasciare a casa la macchina per qualche giorno in attesa che arrivi un po’ di vento. O hai un’idea del futuro, del trasporto urbano, della guerra all’inquinamento, delle case riscaldate in maniera diversa o non ne esci. Una delle cose positive dell’Expo è di avere dimostrato che, disponendo di servizi pubblici adeguati, la gente la macchina la lascia a casa. Ma una svolta radicale, sinceramente, non puoi chiederla solo al ministro dell’Ambiente».
Dice Beppe Grillo, che subito dopo la nomina lo salutò come «un ministro atomico» perché «favorevole al nucleare e contrario all’acqua pubblica», che Galletti e Matteo Renzi e gli altri ministri, rei di non aver affrontato frontalmente il problema della pericolosità delle polveri sottili, «passeggiano incuranti sui cadaveri di 68.000 italiani che non hanno saputo proteggere».
Sassate. Che buttate lì così, nel fuoco delle polemiche, come se l’emergenza fosse scoppiata improvvisamente per colpa di «questo» governo, «questi» sindaci, «questo» ministro, sono ingiuste. È fuori discussione, però, che anche i silenzi e i ritardi e le ambiguità di questi giorni confermano quanto sia indispensabile, in un Paese esposto come il nostro a rischi ambientali, che il ministro dell’Ambiente non sia scelto a caso. Prima di essere piazzato lì, alla guida di un dicastero tanto importante e sottovalutato, Galletti era finito nell’archivio dell’ Ansa alcune centinaia di volte. In un solo caso si era occupato di ambiente. Indovinate? Il 14 marzo 2005, quando a una conferenza stampa della proprietà edilizia, aveva attaccato la giunta emiliana di Vasco Errani, colpevole d’aver fatto una legge regionale per limitare i danni del condono edilizio berlusconiano del 2003. Legge bollata, in difesa, come «un crimine amministrativo». Ha cambiato idea, se oggi i condoni li definisce «tentati omicidi»? Bene. Ma un ministro più coerente avrebbe oggi più peso da gettare sul tavolo. 

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