domenica 31 gennaio 2016

progetto LIPU a Celle Ligure


http://www.ivg.it/2016/01/celle-casette-per-volatili-in-pineta-bottini-e-zunino-annuncia-nel-2016-via-ai-lavori-di-sistemazione/

sondaggi e realtà:chi lo sa?

http://www.unita.tv/opinioni/attenzione-ai-sondaggi-fantasma-esempio-roma/

ragionando sul Niger

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/31/niger-i-piedi-di-pierre-e-quelli-di-tutti-gli-altri-nel-sahel/2421136/

Gasparri contestato anche sulle banche


http://video.repubblica.it/edizione/roma/roma-gasparri-contestato-a-manifestazione-vittime-salva-banche/226849/226137?ref=HRESS-8

la nuova moschea di Sanremo


http://www.primocanale.it/single_news.php?id=166600

capitali della cultura

http://www.pensalibero.it/2016/01/31/da-mantova-a-pistoia-cosa-vuol-dire-sentirsi-capitali-della-cultura/

sulle aree metropolitane

http://www.pensalibero.it/2016/01/31/683706/

primarie USA.Una riflessione


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/31/elezioni-usa-il-vento-anti-establishment-ormai-e-diventato-una-bufera/2420458/

la riscoperta dell'inquinamento e dei cambiamenti climatici


http://www.repubblica.it/ambiente/2016/01/31/news/siccita_l_inverno_non_arriva_a_gennaio_poca_pioggia_come_ad_agosto-132399874/?ref=HREC1-1

la buccia di banana del family day


http://www.huffingtonpost.it/francesco-lepore/il-punto-piu-basso-del-family-day_b_9123822.html?utm_hp_ref=italy

Family Day senza Papa

http://www.huffingtonpost.it/massimo-faggioli/grande-freddo-tra-francesco-family-day_b_9124428.html?1454248349&utm_hp_ref=italy

fermare la riapertura delle centrali nucleari in Belgio

https://secure.avaaz.org/it/belgian_nuclear_shutdown_loc/?cRUJfcb

educare alla sconfitta

Educare ad accogliere la sconfitta

by JLC
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di Valentina Guastini*
Mentre vado a scuola, ascolto la radio. Interviene in diretta una mamma che racconta della passione del figlioletto di cinque anni per il calcio. Gioca in una squadra locale ma, si lamenta la mamma, non sa proprio perdere. Il tono si fa un po’ più riflessivo e in radio ammettono: è il problema di questa generazione. I nostri bambini non sono abituati a perdere, non ne sono capaci.
Questa riflessione mi ha tenuto compagnia tutto il giorno e ho cercato di analizzare i fatti.Quanta responsabilità abbiamo noi genitori? Quanta la passività della televisione?
Faccio un po’ di autocritica e penso a quante volte abbiamo perso nella mia famiglia. Quanta gioia ci consegna una vittoria e quanto ci sprona ogni volta una perdita. Ma questa forse è solo esperienza; le mie bambine sono abituate a perdere?
Siamo ricaduti in un periodo storico subdolo, di difficile gestione dal basso. I genitori, i nonni spesso mascherano ai bambini le preoccupazioni, come è giusto che sia. Ma è difficile nascondersi in cinque anni di cassa integrazione, è difficile nascondersi dopo sedici anni di contratti a tempo determinato. Sono difficili da nascondere tutti i documenti sempre a mezzo, utili per i ricorsi. Difficile nascondere la scontentezza per  un lavoro amato che è sempre precario. Difficile nascondere la paura che questo ti venga tolto per sempre.
Ada due anni fa ha vissuto la morte della mamma del suo amico più caro. Ancora adesso c’è un fumo denso intorno a quella vicenda. Mio marito era incaricato di tenere “occupato” il bambino il tempo di aspettare a casa nostra il resto della famiglia per comunicarglielo. È l’unica volta in ventanni che ho visto mio marito davvero in difficoltà. Sono sentimenti che ti porti dentro: compassione, empatia, tristezza, paura.
La vita ti segna inevitabilmente e per quanto cerchiamo un sfera magica dove poter custodire i nostri figli, la perdita fa inevitabilmente parte del pacchetto.
C’è sicuramente una parte di responsabilità data al carattere di ciascuno, ma ritengo anche che laddove un bambino non sappia perdere nelle banalità quotidiane, la causa vada ricercata anche negli adulti di riferimento.
“Chi perde la sua individualità perde tutto” diceva Mahatma Gandhi e per affrontare le varie perdite che la vita offre bisogna essere preparati, la sconfitta va accolta, conosciuta, affrontata, altrimenti rischiamo di perdere noi stessi nella rabbia e nella frustrazione.
Per restare nel recente, il 7 luglio è stata approvata la riforma della Buona Scuola; era già chiaro il disegno che prevedeva di far fuori una grossa fetta di docenti che da anni lavorano nella scuola. Evidente il mio sconforto: cena al ristorante cinese, discussione e analisi dei fatti, progetti alternativi nella peggiore delle eventualità, coccole sparse.
Ada (undici anni) il mese scorso ha litigato con la sua migliore amica, una di quelle prime delusioni che fanno tremare le ginocchia; quei frangenti dove di perdite ce ne sono una bella manciata in una volta: fiducia, sicurezza, felicità, condivisione. Ne abbiamo parlato molto per concludere aprendo una bottiglia di prosecco a cena, Ada si è appena bagnata le labbra. Abbiamo brindato al diventare grandi, ad imparare che nonostante tutto ne valga sempre la pena, abbiamo brindato alle ferite del cuore che ci insegnano tanto.
A giugno, io e la mia cara amica Elisa abbiamo organizzato il funerale di sua mamma con la banda di paese e la focaccia. Margherita (otto anni) ha lasciato andare i palloncini a bocca piena, ci ha abbracciato, abbiamo sorriso e ci siamo messe a piangere. Che bello piangere insieme, non siamo macchine. Quanto è importante piangere con qualcuno, ti toglie ogni vergogna, sei nudo nell’anima.
Ada qualche giorno fa aveva il discorso da fare ai compagni per la sua candidatura a sindaco dei ragazzi, era agitata. La sera prima ne abbiamo parlato un po’ e poi con questo pensiero della perdita ho voluto testare le sue emozioni, le ho detto: “E vabbè, si può anche perdere…”. Ha tirato su la cartella, ha alzato le spalle e ha risposto: “L’importante è divertirsi e poi, l’avresti mai detto? Dovrò parlare davanti a tutta la scuola… ho una  paura, se riesco in quello ho già vinto”. Si gira Marghe mentre fa l’aerosol e tutta gasata dice: “Ooh però anche se perdi, andiamo a mangiare una pizza?”.

* mamma e maestra, fa parta della Rete di Cooperazione educativa C'è speranza se accade

DA LEGGERE
Elogio della sconfitta Rosaria Gasparro
"Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta..."

verso il congresso regionale dei Verdi

è necessario eleggere i nuovi rappresentati liguri nel Consiglio Federale. Nell'ultima Assemblea Nazionale già sono stati eletti Simonetta e Danilo.
Ci attende ora la elezione regionale di altri due membri, portando così a quattro la nostra rappresentanza in Consiglio Federale.
E' necessario anche provvedere alla elezione dei nuovi organismi dirigenziali a livelli sia regionale che provinciale.

Sebastiano ed io pertanto convochiamo l'assemblea regionale per il giorno 10 febbraio 2016 alle ore 17.30 a Genova presso la sede del Circolo Ricreativo CAP in via Albertazzi 3r, con il seguente Ordine del Giorno:

1) elezioni di due membri nel Consiglio Federale;
2) elezione del Comitato esecutivo regionale;
3) elezione dei due co-portavoce regionali;
4) varie ed eventuali.

Un abbraccio

acqua e la rinascita di una comunità

La sete di acqua e di allegria fa rinascere la comunità

by Comune Info
C'è un villaggio boliviano che nel corso degli anni si è spopolato, non c'è più acqua da bere, non funziona la scuola e non funziona il mulino. La gente è andata via, per poter sopravvivere. Tre anzioni però hanno deciso di resistere, e pian piano hanno spinto la gente della comunità che tornava di tanto in tanto a raccogliere l'acqua piovana. E con l'acqua tornano l'allegria e la voglia di ricominciare. Molto lontano da Villa Flor de Pukara, racconta Oscar Olivera, si parla dei cambiamenti climatici, un nemico a cui non possiamo opporci come abbiamo fatto in passato con le barricate. Possiamo solo ritornare alla terra, ricostruire le comunità, recuperare la memoria e la nostra storia, poi dobbiamo ricambiare, con reciprocità, il saluto e la generosità della terra. Villa Flor de Pukara, dice Oscar, è in qualsiasi parte del mondo, dovunque le persone costruiscono con semplicità e in forma silenziosa, la società in cui sentono di poter vivere
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di Oscar Olivera
Bisogna fare cento chilometri dal centro urbano della città di Cochabamba per arrivare a un villaggio boliviano che si chiama Villa Flor de Pukara. Una volta lì c'era una scuola con le bambine e i bambini, i maestri e le maestre, c'era allegria. Una volta c'era un mulino, quindi c'era il pane. Una volta cantavano gli uccellini e c'erano concerti, all'alba e al tramonto.
Oggi restano poche coppie di anziani. Rimangono, dunque, la saggezza, la generosità, la solidarietà del villaggio. I banchi della scuola sono stati distribuiti tra le case e il vecchio mulino, a titolo di prestito, sperando che possano tornare ad essere occupati, prima o poi, dai corpi e dal chiasso che fanno i bambini.
Pukara significa forza che dà la vita, è una parola aymara e quechua allo stesso tempo.
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Ho pensato a quel nome e credo che in origine dovesse essere BELLA FLOR DE PUKARA (Bel Fiore di Pukara), la mancanza della vocale "e" in quechua, può aver prodotto un cambiamento fonetico nel nome di questa comunità.
E il luogo è davvero un Bel Fiore. Ci sono una quarantina di case, per lo più abbandonate o che servono come abitazioni temporanee per le molte famiglie che sono migrate, per poter sopravvivere, nei villaggi vicini. Le famiglie però tornano - alcune ogni settimana, altre ogni mese, altre ancora ogni anno - per seminare, piantare, produrre, oppure solo per vedere le nonne e i nonni, o anche le galline, i conigli e i colombi.
Gli uomini e le donne anziani non hanno acqua da bere: la loro sola fonte sicura è l'acqua che cade dal cielo, come benedizione delle sorelle nubi e di Tata Inti [Padre Sole, ndr], ma adesso è più scarsa di un tempo. Abbiamo dimenticato di parlare con il vento affinché non se la porti via, dicono don Julio e doña Ricarda, così come i venti della "modernità" e del consumo si sono portati via da Bella Flor, i giovani, le bambine e i bambini, la Forza Aymara.
Camminare in montagna, nella gola del fiume che serve a irrigare la terra e, in forma molto precaria, a saziare la sete dei pochi che sono rimasti. Camminare per le vie dell'abitato, riposare all'ombra dei centenari alberi di pesche; sedersi ad ascoltare le enormi, pesanti e vecchie pietre del mulino ad acqua che parlano e, assieme a don Ricardo, ci raccontano come sono arrivate a Fortaleza, trascinate per oltre cento chilometri. Sono più di duecento anni che rotolano, girano, parlano con la gente che le ha portate e ancora adesso custodiscono il racconto [per] i nipoti e le nipoti di queste nonne e nonni che oggi piangono guardando l'aspetto del villaggio.
Sono stati però la forza e l'"ajayu" (l'anima e lo spirito) della coppia di anziani, don Julio e doña Ricarda che hanno reso visibile la situazione della loro Comunità, del loro Villaggio, del loro Territorio. E' stata la sete di acqua e di allegria del villaggio a spingere l'assemblea dei comunarios e delle comunarias [gente della comunità], più una manciata di altre persone comuni come loro, perché si mettesse a "raccogliere" l'acqua del cielo e a portarla poi alle gole della comunità. E' stata quella sete a portare di nuovo l'allegria nel territorio della Fortaleza Aymara, i cui resti [antichi] sono testimoni quasi impercettibili, lassù, sulla cima della montagna.
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All'inizio sono stati tre anziani che hanno dato l'impulso per ri-costruire la loro Comunità, il loro villaggio: doña Ricarda, il suo sposo don Julio e Zacarías, il maestro di scuola. Nel pieno della giornata di lavoro, mentre stavano seminando e piantando, a loro si è aggiunto il dirigente del sindacato agricolo: Beltrán, sì, un nome che sembra un cognome, ma è comunque il suo nome. E' un uomo che ha ereditato le terre dai genitori e dai nonni e ha promesso di non abbandonarle. Non ha ereditato solo la fertilità di quei campi, però, ma anche l'amore per il villaggio, per i suoi alberi, per gli animali. Prima di tutto, è un uomo degno che organizza, che dà impulso, che lavora, inventa, motiva l'insieme di altri uomini, donne, bambini, bambine, anziani e anziane. Così, un po' alla volta, nel giro di un mese, quella comunità ormai quasi dissolta, ha ricominciato a guardarsi negli occhi, faccia a faccia, cuore a cuore, sudore a sudore, nel lavoro, nel parlare, nel bisogno, nel ricordare, nell'aver in modo implicito deciso di ri-costruire.
Ri-costruire la comunità, che non è più solo loro ma anche di altri fratelli e sorelleche si impegnano non solo nel lavoro per costruire di nuovo la collettività, ma anche per costruire una cisterna, un enorme serbatoio, che si riempirà con le gocce di pioggia, una ad una, così come si va riempiendo adesso il villaggio di persone che, una alla volta, vengono a lavorare per poter ottenere acqua fresca e cristallina.
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A poco a poco, nel silenzio rumoroso della montagna, nel vento freddo della gola, sotto un cielo limpido di giorno e stellato di notte, cinque, dieci, quindici, venti, trentacomunarios , lavorano, ridono, giocano, piangono, ricordano, decidono e realizzano quanto l'assemblea ha deciso. Quello che doña Ricarda, don Julio, il professor Zacarías e Beltrán avevano sognato; l'enorme generosità costruita da mani contadine, operaie, di giovani, di bambini, di anziane e di anziani, di donne, di ricercatori, di organizzatori, di attivisti, di studenti, di persone che provengono dall'altra parte del mondo.
Fuori dal villaggio, molto lontano, non solo per la distanza ma per la sordità delle istituzioni e dei malgoverni, si parla del cosiddetto "cambiamento climatico". Se ne parla in maniera incomprensibile, si dice che c'è un "vertice" dei popoli che adesso vuole lottare contro questo nemico. Noi, la gente semplice che lavora nelle campagne e in città, noi che in passato abbiamo fatto barricate e posto sotto assedio il capitale e i cattivi governi, abbiamo compreso che i mali che affliggono i nostri villaggi e i nostri territori sono mali contro i quali è difficile collocare una barricata, dire NO con i nostri corpi. I cambiamenti nella natura che percepiamo sono quasi invisibili, però sentiamo come ci attaccano, come ci aggrediscono, come ci uccidono.
Affrontarli è ritornare alla terra, ricostruire i territori, costruire comunità, recuperare la memoria, la nostra storia, e ricambiare, con reciprocità, il saluto e la generosità alla Pachamama, al fratello, alla sorella, al compagno e alla compagna, all'amico e all'amica, al tata Inti (Sole), alla madre Quilla (Luna), alle Acahachilas (le montagne), a quello che ci circonda, perché siamo parte del tutto.
Bella Flor de Pukara, è quanto sta accadendo in ogni parte del mondodove le persone stanno costruendo, in forma silenziosa, molto abajo (in basso, ndt) e a sinistra, cioè con semplicità e affetto, quella società che sentiamo e che viviamo con il lavoro, con la lotta, con il ritrovarsi.

Con il titolo "Villa Flor de Pukara, donde Quechuas y Aymaras trabajan para re-vivir el Pueblo", questo articolo è uscito su Desinformemonos . Per Comune-info lo ha tradotto Daniela Cavallo
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Oscar Olivera, protagonista della più nota "guerra dell'acqua" del mondo, quella del 2000 a Cochabamba, al lavoro con la terra.
Oscar Olivera, operaio metallurgico, sindacalista, guerriero e difensore dell'acqua e della vita, ispiratore e compagno di viaggio da sempre di Comune-info, oggi si dedica a lavorare la terra con i bambini delle scuole di Cochabamba. Con Fundacion Abril, Agua Sustentable, CAV (Brasile), CeVi (Italia) sta inoltre portando avanti il progetto che prevede la costruzione di cisterne interrate per la raccolta dell'acqua piovana che potrà quindi essere utilizzata dalle comunità per irrigare i campi nei mesi di siccità. Il progetto vede protagoniste le comunità che possono così migliorare e gestire autonomamente le proprie risorse idriche.
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Il viaggio in Italia di Zibechi e Olivera
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sull'eolico


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sugli oneri di urbanizzazione


http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2016/01/oneri-di-urbanizzazione-il-tossicodipendente-cambia-la-droga/

Moria:la collina degli afgani

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