sabato 27 febbraio 2016

diritti e vita di ognuno

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I diritti sulla carta e la vita di ogni giorno

by JLC
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di Manela Salvi*
Un mio caro amico una volta mi ha detto: "La cosa più pesante di essere gay è non avere modelli di riferimento. Non hai persone più anziane a cui chiedere come cavartela, come amare, come invecchiare". In effetti la lotta dei gay italiani per i propri diritti è storia recente. Probabilmente è stata iniziata da quelli della mia generazione, quando eravamo ragazzi. Io, che avevo vissuto un'adolescenza in cui "nessuno era gay", all'università ho visto cambiare le cose.
Ho vissuto il complicato coming out di amici di infanzia. Ho visto coppie di miei carissimi amici sfidare gli sguardi attoniti dei passanti tenendosi per mano. Ho insegnato io a mio padre a non usare la parola "ricchione" per insultare il calciatore che sbaglia il rigore. Ho sostenuto amici a cui dopo il coming out amici o familiari avevano sbattuto la porta in faccia. È stato tutto così, dai vent'anni a oggi. Ma sono solo un paio di decenni, dopo generazioni di nascondino e matrimoni di facciata. Non ci sono quasi per niente anziani che vivono questa lotta, è una folla di under cinquanta.
E ancora ci sono quelli che "quando torno al paese però faccio finta di niente perché lì non lo sanno", o che "con i miei non ne ho mai parlato apertamente ma penso che abbiano capito", o che "ciao, lui è il mio coinquilino". Io stessa quando mi chiedono "ma quel tuo amico è gay?" freno il primo impulso di dire sì, perché mi chiedo se può dargli fastidio che la gente sappia che è gay.
Allora io dico che la vera lotta si gioca in casa, nel quotidiano. Non ha senso che venga riconosciuto il matrimonio se poi alla festa non puoi invitare tua madre perché "lei non lo sa". Non ha senso che si addossi tutta la colpa ai reazionari quando ci sono calciatori, attori, personaggi pubblici omosessuali che fanno finta di niente per paura di essere additati.
Un volta un prete mi ha detto: "La lobby gay in Vaticano è la più accanita contro i diritti dei gay". Ecco, tutto questo non ha senso, e anche il Gay Pride non ha senso se poi "i miei amici non lo sanno che ci vado". I diritti richiedono coraggio.
le donne sono per i gay la dimostrazione più lampante di come acquisire dei diritti sulla carta non significhi affatto liberarsi dai propri pregiudizi o sensi di colpa o vergogna. Allora io dico prendete questa mezza sconfitta come un'occasione percambiare le cose dall'interno, nel vostro quotidiano. Parlate con le vostre famiglie. Pronunciate la parola" gay" senza timore. Lo so che non è detto che il vostro orientamento sessuale debba essere sbandierato, ma credo che sia necessario un atteggiamento meno ambiguo. Altrimenti quel senso di vergogna ve lo trascinerete dietro. Così come le donne si trascinano dietro il loro senso di inadeguatezza e lo trasmettono spesso alle loro figlie.

Autrice di libri di letteratura per ragazzi, tra cui “Nei panni di Zaff” (di recente messo all’indice dal sindaco di Venezia e dalla guerra del gender...), “E sarà bello morire insieme” (un best seller che forse sarà presto al cinema) e “Nemmeno un bacio prima di andare a letto", un romanzo sulle baby squillo.

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