giovedì 31 marzo 2016

le nostre ragioni per il si


Qual è la vera posta in palio con questo referendum?
Il referendum del 17 aprile ha un cruciale significato politico: siamo
chiamati a dire se vogliamo continuare una politica energetica legata al
passato o se vogliamo che l’Italia s’incammini senza incertezze lungo la
strada della transizione energetica alle fonti e tecnologie rinnovabili.
È una questione su cui si gioca il futuro economico, ambientale e
occupazionale dell’Italia, perché l’energia è il motore di tutto.


Limitando l’industria estrattiva in Italia, ci saranno impatti negativi
sull’occupazione?

La maggior parte degli italiani addetti al settore estrattivo lavorano
all’estero. Considerando il quadro qui descritto, l’eventuale effetto
sull’occupazione in Italia sarebbe ridotto e diluito nel tempo. Occorre
poi sottolineare che il numero di posti di lavoro creati dalla filiera
rinnovabile, che è il futuro, è almeno quatto volte superiore a quello
dell’industria degli idrocarburi, che è il passato. Quest'ultima è per
sua natura a bassa intensità di lavoro.
In questi ultimi 3-4 anni sono state perse decine di migliaia di posti
di lavoro, a causa delle politiche miopi e vessatorie che hanno tagliato
le gambe all’ascesa delle rinnovabili per favorire, ancora una volta, i
combustibili fossili. Si tratta per lo più di aziende piccole e
piccolissime che spesso non hanno voce, ma è stata una vera e propria
ecatombe.

È possibile far funzionare la civiltà moderna solo a energia rinnovabile?
Non solo è possibile, ma è anche un’opzione senza alternative. I
combustibili fossili inquinano e compromettono il clima. L’unica
possibilità di sopravvivenza per la nostra civiltà è passare nel più
breve tempo possibile all’uso dell’unica fonte energetica illimitata di
cui disponiamo, il Sole. Senza però dimenticare che solo utilizzando in
modo oculato le (limitate) risorse naturali a nostra disposizione
(metalli, acqua dolce, biomasse, ecc.) saremo in grado di fabbricare i
convertitori e gli accumulatori di energia solare che ci servono.
Sarà una sfida molto complessa, ma non impossibile.


IL 17 APRILE VOTA SI

Vado Ligure ma a chi la conta Monica Giuliano?

http://www.ivg.it/2016/03/variante-maersk-monito-del-sindaco-giuliano-rispettare-gli-accordi-ambiente-occupazione/

ordinanza antislot Savona:una prima buona notizia


Nogarin ma ti levi dal bibin


http://www.unita.tv/focus/il-sindaco-di-livorno-e-lesposto-sulla-discarica-se-ricevo-lavviso-di-garanzia-non-mi-dimetto/

diciamo si il 17 aprile ma non denunciamo nessuno forse Grillo non conosce la parola democrazia?


http://www.unita.tv/focus/i-grillini-vogliono-mandare-in-galera-teresa-bellanova-per-questa-intervista-a-lunita/

Gitanistan


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/31/rom-si-aprono-i-confini-di-gitanistan-chi-ha-il-coraggio-di-entrare/2597068/

Caro Marino,un pò di silenzio per cortesia


http://www.huffingtonpost.it/roberto-morassut/basta-con-la-saga-degli-i_b_9579988.html?utm_hp_ref=italy

Federica Guidi se ne va trullalero,trullalla'

http://www.huffingtonpost.it/2016/03/31/petrolio-guidi_n_9583416.html?utm_hp_ref=italy

a mani nude

A mani nude. Reportage dall’India

by JLC
I Valmiki, fuori casta, sembrano avere il destino segnato. Vuotare le latrine private. Qualcuno cerca di opporsi e liberarli da una vita tra le più degradanti. Ma la tradizione è più forte della legge. E della religione
Una manual scavenger all'opera a Dura Khund, Varanasi
Una manual scavenger all'opera a Dura Khund, Varanasi

di Gianluca Iazzolino*
Fino al matrimonio, Meena non era mai stata del tutto cosciente di essere una Dalit, ovvero un’intoccabile. Per l’esattezza, una Valmiki, cioè membro di un gruppo di fuoricasta che occupa i gradini più bassi nell’intricata gerarchia sociale induista. Lo erano i suoi genitori, ma lei si era sempre presa cura dei fratelli minori e non li aveva mai seguiti nei loro giri mattutini.
Una volta diventata madre, ha cercato lavoro, ma ha scoperto che non c’erano possibilità per una Valmiki come lei, se non pulire latrine. Per quindici anni, ogni giorno, ha così percorso le strade di Ramnagar, un sobborgo alla periferia Est di Nuova Delhi, reggendo sulla testa una cesta di vimini traboccante di escrementi umani. Lavorava per dieci famiglie della zona e cominciava il suo giro all’alba. Le facevano trovare la porta posteriore aperta. Lei si dirigeva in silenzio verso la latrina di casa e raccoglieva le feci aiutandosi con una scopetta o, a volte, a mani nude. Poi si spostava in un’altra casa. A fine mattina, svuotava il contenuto della cesta in una fogna aperta.
In cambio, ogni famiglia le versava 20 rupie al giorno - meno di 50 centesimi di euro, ndr -, ma non sempre. A volte pagavano in ritardo, altre non pagavano affatto. Ma tutti le lanciavano i soldi a distanza.
La prima volta
Il primo giorno lo ricorda bene. Il tanfo proveniente dalla sua stessa pelle le ha aggredito le narici, lei ha provato a reprimere i conati di vomito, ma invano. Le vertigini l’hanno sopraffatta, e il contenuto della cesta le si è riversato addosso. I passanti le giravano al largo, guardandola furtivamente e procedendo oltre. Trattenendo il respiro fin quasi a soffocare ha raggiunto una pompa d’acqua nel cortile di una casa. Alle prime gocce spillate, è sbucata la padrona, che le ha urlato contro. «Quella donna apparteneva alla casta dei Brahmini, e quella era l’acqua con cui lavavano il tempio», ricorda oggi Meena. «Una come me l’avrebbe contaminata».
Durga Kund, un sobborgo di Manual Scavangers di Varanasi.
Durga Kund, un sobborgo di Manual Scavangers di Varanasi.

Come lei, secondo un rapporto del 2014 di Human Rights Watch, esistono tuttora nel paese almeno 300mila famiglie. Donne e uomini che sopravvivono con la pratica della raccolta manuale di rifiuti umani, nota come manual scavenging. E questo nonostante una legge approvata dal parlamento indiano nel settembre 2013 l’abbia messa al bando, e una sentenza della Corte suprema del marzo 2014 abbia richiamato gli stati indiani a far rispettare la legge e ad avviare programmi di «riabilitazione» per i raccoglitori manuali.
Secondo Bezwada Wilson, fondatore e leader di Safai Karmachari Andolan (Ska), un’organizzazione che si batte per l’eradicazione della pratica della raccolta manuale, le leggi non bastano. «L’India si muove sempre in due opposte direzioni: il rispetto della Costitutione e la nostra cultura. E quest’ultima ruota attorno al sistema delle caste, che permea tutta la società indiana». Figlio di raccoglitori manuali lui stesso, Bezwada ha abbracciato la battaglia contro la discriminazione di casta dopo aver letto «L’abolizione delle caste», unpamphlet scritto da Br Ambedkar nel 1936.
Oltre le caste
Una foto del primo intellettuale dalit indiano campeggia nell’ufficio di Bezwada, a Nuova Delhi, e in case dalit in tutto il paese. Il tema delle caste è stato al centro di una polemica, cruciale per le sorti dell’India, che Ambedkar, sconosciuto all’estero, ebbe con il ben più noto Mahatma Gandhi. Per quest’ultimo le caste erano il collante della società indiana, mentre per il primo cristallizzavano le strutture di potere, legittimando sopraffazioni e abusi.
Negli ultimi decenni, personalità dalit sono emerse nella politica indiana, ma le violenze di casta continuano, e i dati, quelli noti per lo meno, sono raggelanti: secondo l’Ufficio nazionale delle statistiche sul crimine, tredici Dalit sono assassinati ogni settimana, e almeno quattro donne dalit sono stuprate da membri di caste superiori ogni giorno. «Lo stupro di una donna dalit non è sempre percepito come un crimine», spiega Bezwada. «Per alcuni uomini di casta superiore, stuprare una Dalit è addirittura un modo per purificarla».
Soprattutto nel Nord dell’India, i Dalit sono associati ad attività che hanno a che fare con la materia organica, residuale: tagliano i capelli, trattano i cadaveri, conciano le pelli, puliscono latrine. La raccolta manuale dei rifiuti umani è l’aspetto più evidente che alimenta l’intoccabilità, attraverso il contatto con liquami impuri che grondano tra i capelli, impregnano gli abiti, scivolano sulla pelle. La questione dei raccoglitori manuali s’intreccia così sia con la condizione dei fuoricasta che con le problematiche dell’igiene.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), circa la metà della popolazione indiana pratica ancora la defecazione all’aperto. Nelle aree rurali e nelle baraccopoli urbane, dove mancano fogne e fosse asettiche, le famiglie usano latrine a secco o le cosiddette wada, aree comunitarie che richiedono una pulizia manuale. Quando nel 2014, Narendra Modi è stato eletto primo ministro, ha annunciato una campagna nazionale per modernizzare la situazione sanitaria indiana. Da allora, le amministrazioni locali hanno messo a disposizione della popolazione dei fondi per l’acquisto di articoli sanitari. Ma sono molte le famiglie in povertà che riscuotono il contributo senza però cambiare le proprie abitudini igieniche, e continuano ad affidarsi ai Valmiki.
Puro e impuro
Secondo l’antropologo Assa Doron, non è solo una questione di latrine: la dicotomia tra puro e impuro è alle fondamenta dell’induismo. La pratica dei raccoglitori manuali appare difficile da sradicare perché crea, attraverso la degradazione e l’umiliazione dei Valmiki, la base materiale della rigida piramide sociale induista. Ma la religione è solo una delle lenti attraverso cui osservare il fenomeno.
da
Una donna Dalit, ed ex manual scavenger, impegnata in un’attivita’ di riabilitazione creata dall’organizzazione per i diritti umani Safai Karmachari Andolan (SKA) a Ghaziabad, a nord di Delhi. Qui le donne lavorano in una cooperativa sociale che produce borse per ottenere un reddito.

A Durga Kund, un sobborgo di Varanasi, cuore della spiritualità induista, lo conoscono tutti come Safai Basti, il quartiere dei raccoglitori manuali. L’agglomerato di case basse sorge a poca distanza dal tempio principale, celebre per l’intonaco rosso fuoco che si staglia sul cielo dell’Uttar Pradesh, ma è distinto dall’abitato circostante come un’isola in mezzo al mare. Su quasi la metà delle centinaia di abitazioni spicca una croce. Molti dei Valmiki che vivono nella baraccopoli ammettono che, con la conversione al cristianesimo, speravano di sfuggire ai propri obblighi di casta. Come Saroch, oggi 40enne, rimasta orfana quando aveva quattordici anni. Racconta di aver provato a ribellarsi, rifiutando di seguire le orme dei genitori, ma nella comunità cominciò a circolare la voce che praticasse la magia nera. Si avvicinò così a una chiesa evangelica, immaginando che abbracciare una nuova fede avrebbe cambiato la sua vita. E invece rimase una Valmiki anche tra i nuovi confratelli cristiani, incapace di scrollarsi di dosso la sua identità di casta e trovare un lavoro diverso. Inoltre, essendosi convertita, perse anche il diritto ad accedere al sistema di quote previsto nell’amministrazione pubblica per i Dalit. Saroch, anche se cristiana, riprese in mano la cesta di vimini dei genitori.
Il sistema delle caste che plasma il presente e il futuro dei Valmiki va così oltre l’induismo: riguarda anche cristiani, musulmani e, in misura minore, buddisti. È stato addirittura rinvigorito dall’apertura del paese al libero mercato. Come spiega Ramesh Nathan, segretario generale del Movimento nazionale dalit per la giustizia, l’ondata di privatizzazioni degli anni ’90 ha creato un sistema di appalti che premia gli imprenditori capaci di tagliare al massimo i costi. Un caso esemplare è quello della rete ferroviaria indiana, un gigante di 65.000 km su cui 14.300 treni trasportano 25 milioni di passeggeri ogni giorno. Gli scarichi l’hanno resa la latrina a cielo aperto più grande del mondo. Per ripulire i binari, le società private impiegano la manodopera più economica sul mercato: gli uomini valmiki. La servitù di casta si sposa così con la logica neoliberista.
Difficile uscirne
Per le donne valmiki, impegnate soprattutto nella pulizia di latrine in case private, Ska ha avviato dei programmi di sostegno economico. A Ghaziabad, un villaggio a Nord di Delhi, una trentina di donne cuciono borse vendute nel circuito del commercio equo e solidale. L’età è varia, ma condividono esperienze simili. C’è chi ha praticato la raccolta manuale dall’adolescenza e chi ha cominciato dopo il matrimonio perché così faceva la famiglia del marito. Hanno abbandonato da poco l’attività ma molte continuano a soffrire l’umiliazione degli avanzi di cibo lanciati in una busta, o dell’acqua negata, o della loro stessa identità ridotta alle ceste che trasportano sul capo.
Nelle manifestazioni organizzate per richiamare l’attenzione del governo sul dramma delle donne valmiki, quelle ceste hanno alimentato dei falò, ma c’è chi non esclude la possibilità di tornare al lavoro di raccoglitrice manuale: anche chi si dice felice della nuova attività non riesce a liberarsi dal timore di essere prigioniera di un destino già tracciato.
Lo stesso fatalismo è espresso da Leela, che abita a pochi passi dalla casa in cui Meena vive con il marito e una figlia a Ramnagar. «Perché non sono riuscita a trovare un altro lavoro? Forse perché non era destino». Continua a pulire latrine nella zona, aiutata talvolta dalla figlia e dal figlio, mentre il marito lavora per una società che si occupa della manutenzione delle fogne. Un tempo si accompagnava a Meena, ma da un anno Meena ha preso un’altra strada: grazie all’aiuto di Ska ha ricevuto un risciò elettrico per il trasporto passeggeri. Leela nota che la vita di Meena è cambiata: sembra più sicura di sè e, anche se continua a subire discriminazioni, non ha più paura. «Dopo aver bruciato la sua cesta di Valmiki – dice Meena – non è certo il traffico di Nuova Delhi a spaventarmi».

* Gianluca Iazzolino, africanista, è collaboratore del mensile Missioni Consolata, dove è stato pubblicato questo reportage. Le foto sono di Eloisa d’Orsi (www.eloisadorsi.com). Ringraziamo autori ed editore.

dare voce agli invisibili


http://comune-info.net/2016/03/welfare-locale-territorio/

Noli:leggi e rileggi


http://trucioli.it/2016/03/29/il-turismo-a-noli-ha-il-mal-della-tartaruga-le-terre-rosse-di-voze-straordinario-tesoro/

leggiamo su Noli

http://trucioli.it/2016/03/31/noli-invece-di-preoccuparsi-dei-problemi-ne-vedremo-delle-belle-con-le-esternalita/

Roma quale legalità?

http://comune-info.net/2016/03/legalita-due-pesi-e-due-misure/

trivelle no grazie


http://www.ilcambiamento.it/inquinamenti/legambiente_referendum_trivelle.html

moneta vrtuale

http://www.italiachecambia.org/2016/03/io-faccio-cosi-113-sardex-moneta-virtuale-muove-economia-reale/

pimocanale e alice salvatore...storia di un "nascente amore"?

http://www.primocanale.it/single_news.php?id=169268

attacco al biologico


http://www.slowfood.it/ue-attacco-al-biologico-puo-diventare-difficile-scegliere/

mercoledì 30 marzo 2016

sulle olive tunisine


http://www.slowfood.it/non-solo-un-pugno-olive/

etichettare i prodotti all'orgine


http://www.slowfood.it/ue-introduca-etichettatura-obbligatoria-origine/

il manifesto del mangiare lento


http://www.slowfood.it/litalia-minore-ci-spiega-la-vita-manifesto-del-mangiar-lento/

riflessioni su Genova

1, 7, 15 e 21 aprile: questo l'arco di tempo in cui si svolgeranno i 4 seminari organizzati da un gruppo di comitati e associazioni in collaborazione con il Palazzo Ducale e con i due Municipi della Val Bisagno.
Questo il programma, anche visibile come allegato:

INVITO
Ciclo di incontri sulla gestione responsabile del territorio
NUOVE MANI NELLA CITTÀ
GENOVA E I SUOI QUARTIERI COME RESPONSABILITÀ COMUNE
Con il Patrocinio di
Municipio III – Bassa Val Bisagno
Municipio IV – Media Val Bisagno
Fondazione per la Cultura di Palazzo Ducale
Venerdì 1 Aprile 2016
“Il governo della città”. Ovvero: "Genova come destino comune" (M. Morisi)
Sala Consiliare Municipio IV Media Val Bisagno, Piazza dell'Olmo 3, ore 18:00-20:00
Giovedì 7 Aprile 2016
"La città nelle mie mani". Ovvero: “La partecipazione dei cittadini nella formazione e nella messa in opera delle politiche locali.” (M. Morisi)
Sala Consiliare Municipio IV Media Val Bisagno, Piazza dell'Olmo 3, ore 18:00-20:00
Venerdì 15 Aprile 2016
Il valore dei luoghi. Ovvero, "La città come Bene Comune" (C. Calvaresi, R. Alzate, M. Morisi)
Aula Magna Istituto Secondario Superiore Firpo-Buonarroti, Via Canevari 51, ore 18:00-20:00
Giovedì 21 Aprile 2016
"La città come responsabilità comune" (M. Morelli, M. Penco, L. Borzani)
Aula Magna Istituto Secondario Superiore Firpo-Buonarroti, Via Canevari 51, ore 18:00-20:00
I seminari  sono condotti da docenti delle università di Firenze, Milano (PoliMI), Genova e Bilbao (SP):
Ramon Alzate professore di Mediazione, Educazione e Conflitto alla Università dei Paesi Baschi di Bilbao.
Claudio Calvaresi professore di Urban Conflicts Analysis al Politecnico di Milano.
Mara Morelli professoressa di Iberistica all’Università di Genova, è presidente della Associazione di Mediazione Comunitaria di Genova.
Massimo Morisi garante della Partecipazione della Regione Toscana, è professore di Scienza Politica e Scienza della Amministrazione
all’Università di Firenze.
Monica Penco si occupa di procedure deliberative e partecipative presso il Dipartimento di
Scienza Politica dell’Università degli Studi di Genova.
Luca Borzani presidente Fondazione per la Cultura di Palazzo Ducale
Gli obiettivi dei seminari
Capire il reale significato del partecipare. Formare cittadini consapevoli dei propri mezzi e attivi nella gestione del territorio, emanciparli dal ruolo di
spettatori per renderli attori delle trasformazioni della città. Apprendere le buone pratiche di governo del territorio al di fuori di Genova e della Liguria.
Conoscere modelli positivi di gestione partecipata del territorio e delle periferie nel resto del Mondo. Risolvere le controversie evitando lo scontro.
Dove
La Val Bisagno. Perché, destati violentemente dall’alluvione, abbiamo reagito creando una rete territoriale di cittadini, associazioni e comitati, alla
ricerca di nuovi strumenti di governo del territorio.
Per chi
I seminari sono indirizzati a tutti, cittadini, politici, associazioni, professionisti e studenti; sono svolti in forma interattiva con il pubblico e stimolano il
confronto e il dialogo. Viene consegnato un attestato di partecipazione con almeno 3/4 delle presenze.
Le associazioni e i comitati organizzatori:
Associazione Amici di Pontecarrega, Attac – genova, Associazione di Mediazione Comunitaria – Genova, Associazione Comitato
Acquasola, Comitato Contro la Cementificazione di Terralba, Comitato Gino Benazzi, Comitato Via Montello, FIAB Genova – Amici della
Bicicletta, Forum dei beni comuni Genova, Ghettup Tv,
Giovani Urbanisti, Gossypium, Gruppo per la riqualificazione dell’ex mercato di corso Sardegna, Ingegneria senza Frontiere –Genova,
Legambiente - Circolo Nuova Ecologia, Comitato Protezione Bosco Pelato
Per approfondimenti ed iscrizione ai seminari:
e-mail segreteria: memoriabisagno@gmail.com
referenti: Fabrizio Spiniello  3492377545, Laura Tubelli  3483545816
-- 
Pino Cosentino
tel. 320 27 38 711

Caudillo e destra:una riflessione

Il caudillismo è cultura di destra

by Comune Info
di Raúl Zibechi
Negli ultimi anni, grazie a un'ampia schiera di giovani professionisti del pensiero, si è affermata l’idea che la storia la facciano i leader, la cui capacità di dirigere risulterebbe determinante. Il secondo posto sarebbe occupato dai mezzi di comunicazione, con la loro notevole capacità di occultare o di sovraesporre i fatti, a seconda della convenienza. Il protagonismo popolare, invece, è occultato in modo sistematico, come se non avesse la minima rilevanza nella storia recente.
Ciò che più chiama l’attenzione è che un simile modo di guardare il mondo viene difeso da persone che si dicono di sinistra e perfino da chi mostra simpatia per le idee di Marx. Per quelli di noi che si ispirano a questo autore, sono le forme umane collettive (classi sociali, popoli, gruppi etnici, generi e generazioni) a fare la storia, e non in un modo qualsiasi: è attraverso il conflitto, l’organizzazione e la lotta che possiamo trasformare noi stessi e il mondo.
I dirigenti sono importanti, senza dubbio. I cambiamenti, la storia, però la fanno i popoli. Per questo appare come un arretramento nel pensiero critico il fatto che non si veda l’azione popolare per esaltare esclusivamente il ruolo dei leader. Dopo la sconfitta nel referendum per la ri-rielezione, il vicepresidente della Bolivia ha detto: “Se se ne va, chi ci proteggerà? Chi si prenderà cura di noi? Se Evo se ne va, saremo come orfani. Senza padre, senza madre, resteremo così se Evo se ne va” (Página Siete, 28/2/2016).
La frase è stata pronunciata in una piccola località del dipartimento di Oruro, durante la consegna di case ad abitanti aymara. Garcia Linera avrebbe potuto dire che è stato grazie alla storica lotta degli indigeni che è stato possibile costruire case dignitose e che Evo è parte integrante di quella tradizione di resistenza e di lotta. Ha scelto invece di fare il contrario: presentare i popoli come bambini orfani, oggetti senza altra capacità che quella di seguire il soggetto/leader. Dal punto di vista dell’emancipazione, un errore imperdonabile.
Un secolo fa, il socialdemocratico russo Georgij Plechanov scrisse un saggio intitolato El papel del individuo en la historia [uscito in Italia come La funzione della personalità nella storia], nel quale affrontava proprio il ruolo dei grandi dirigenti. Plechanov riconosceva l’esistenza di “personalità influenti” che possono variare degli aspetti dei fatti, ma non l’orientamento generale di una società, che è determinato da un insieme di forze e relazioni sociali.
“Nessun grande uomo può imporre alla società relazioni che non corrispondono più allo stato di queste forze o che non vi corrispondono ancora (…); sarebbe inutile per lui spostare le lancette del suo orologio: non accelererebbe il correre del tempo né lo farebbe tornare indietro” (Obras escogidas, t. I, Quetzal, Buenos Aires, 1964, p. 458).
In definitiva, i dirigenti occupano il posto che occupano perché vi sono stati condotti da forze sociali potenti, non per abilità personali, sebbene esse giochino un ruolo importante. Il 17 ottobre 1945 fu la classe operaia argentina a sconfiggere l’oligarchia e a eleggere Péron come suo dirigente, rifiutando di abbandonare la Plaza de Mayo fino a quando non avesse potuto ascoltare lì l’allora colonnello. È evidente che il ruolo di Péron (come altri dirigenti) fu importante - anche se non tanto quanto quello di Evita nei cuori della classe - , ma lo è stato in quanto incarnava sentimenti, idee e attitudini di milioni di persone.
Il problema, con il caudillismo, è che si tratta di una cultura di destra, funzionale a chi promuove la sostituzione del protagonismo di quelli che stanno in basso con quello di chi sta in alto. È tuttavia vero, e va riconosciuto, che la cultura dei settori popolari è permeata dai valori delle élite e che, in quasi tutti i casi noti, si è teso a rivestire i dirigenti di caratteristiche sovrumane. Il pensiero critico esiste per questo: per mettere le cose al loro posto, vale a dire per evidenziare i protagonismi collettivi.
Non farlo contribuisce a depoliticizzare, affinché los de abajo credano di essere oggetti e non soggetti della storia. Cornelius Castoriadis, in Proletariado y organización (Tusquets, Barcellona, 1974, p.187), ha scritto: “Il capitalismo può sopravvivere solo se la gente è persuasa che ciò che fa e che sa sono infime questioni private, senza importanza, e che le cose importanti sono monopolio dei signori importanti e degli specialisti nei diversi campi”.
Sarebbe rassicurante pensare che la frase del vicepresidente García sia stata solo un episodico inconveniente, una concessione per mostrare l’importanza del presidente e mettere in guardia sulle possibili difficoltà che possono sorgere. Tuttavia, tutto indica il contrario. Ne concludiamo che chi ci governa, compresi quelli che si dicono di sinistra, si sentono superiori alla gente comune. Chi ricorda che Lenin aveva proibito che gli fossero eretti monumenti?
Il problema è che nel non riconoscere los de abajo come soggetti si cerca di consolidare il potere de los de arriba, di innalzarli al di sopra delle classi e delle lotte che li hanno condotti al posto che occupano. È un’operazione politica e culturale di legittimazione, a costo di svuotare di contenuto gli attori collettivi. È una politica di conservazione, elitaria, che riproduce l’oppressione anziché agire per superarla.
In generale, Castoriadis riflette sulla realtà particolare della divisione del lavoro nell'occupazione: “Gestire, dirigere il lavoro degli altri: è lì il punto di partenza e di arrivo di tutto il ciclo dello sfruttamento” (idem, p. 309).
Il punto centrale è questo: o lavoriamo affinché la gente comune si autogoverni e sia soggetto della propria vita, o lo facciamo per dirigerla, vale a dire per riprodurre l’oppressione. Insisto: non si tratta di negare il ruolo del dirigente né del militante, entrambi necessari. La questione è un’altra. “Intrupparmi con i comuneros” diceva Arguedas in uno dei suoi primi racconti (Agua) per spiegare il suo impegno con los de abajo. Farsi truppa con gli altri; non porsi al di sopra di nessuno, mai. Il pensiero critico funziona così.

Pubblicato su La Jornada  con il titolo El caudillismo es cultura de derecha

in Olanda fanno i musei


http://www.artribune.com/2016/03/ancora-nuovi-spazi-e-iniziative-per-larte-in-olanda-il-paese-piu-interessante-del-2016-due-galleristi-aprono-un-nuovo-museo-darte-contemporanea-con-warhol-e-bansky/

nonna vota si


Video virale. #NonnaVotaSI

by JLC
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Per il referendum del 17 aprile contro le trivelle, in contrapposizione a un iniziale silenzio di stampa e televisioni e l’invito all’astensione da parte dello stesso governo, si sta assistendo a una capillare mobilitazione dal basso. È proprio nell’ottica di questa urgenza di mobilitazione che un gruppo di attivisti creativi si è chiesto come poter contribuire per informare cittadini e cittadine e ha realizzato un divertente video-tutorial che consente a chiunque di rendersi parte attiva nella campagna referendaria per il Si.
Come spiega l’attrice Francesca Romana di Santo nel video, basta un telefonino, trovarsi in un luogo pubblico e affollato (alle poste, mentre si fa la fila al supermercato, su bus o metro) e simulare una telefonata con una nonna con problemi di udito a cui si spiega a voce alta perché andare a votare Sì il 17 aprile: la simulazione può dare campo libero a battute divertenti e doppi sensi che attireranno l’attenzione delle persone vicine e magari convincerle a votare.
Per rendere la campagna virale, i cittadini sono inoltre invitati a filmarsi mentre simulano la telefonata con la nonna e a condividere il proprio video con l'hastag  #NonnaVotaSI.
Il video online dal 30 marzo ha già raccolto migliaia di visualizzazioni su facebook (ora è anche su youtube). Intanto qualcuno dice che questa storia #Nonnavotasi non finisce qui...

ARTICOLI CORRELATI 

contro le trivelle


parlando di Curdi

http://www.pensalibero.it/2016/03/30/curdi-la-questione-curda-visita-al-centro-culturale-ararat-roma/

parlare di Cuba

http://www.pensalibero.it/2016/03/30/intervista-alla-studiosa-maddalena-celano-cuba-le-donne-cubane/

sabato in piazza contro il bitume

Sabato 2 aprile, dalle 16,00 alle 18,30, il gruppo consiliare Noi per Savona - Verdi organizza un banchetto informativo e di raccolta firme in via Paleocapa - altezza Farmacia Internazionale - per contrastare la costruzione del deposito di bitume in Darsena e il  porticciolo alla Margonara.

Siete invitati a partecipare per manifestare l' opposizione  dei Cittadini a  tali interventi.
Approfitto per inviare una nostra considerazione sulle primarie del PD.

Cordiali saluti.  Daniela Pongiglione

sabato in piazza con Daniela Pongiglione



Sabato 2 aprile dalle ore 16 in avanti i Verdi Savonesi saranno in piazza a sostegno della candidatura di Daniela Pongiglione ma anche per dire due no: al bitume e al porto della Margonara

Sabato 2 aprile dalle ore 16 in avanti i Verdi Savonesi saranno in piazza  a sostegno della candidatura di Daniela Pongiglione ma anche per dire due no:
al bitume e al porto della Margonara oltre ad un netto SI al referendum del 17 aprile contro le trivellazioni in mare,dove non ci sono in gioco posti di lavoro o l'indipendenza energetica dell'Italia (peraltro inesistente),come sta tentando di venderci il Governo,bensì la possibilità di dire BASTA allo scempio del nostro mare e la possibilità di avviare con un SI netto e chiaro la fuoriuscita dell'Italia dal petrolio e in genere dal mondo fossile.
Per queste ragioni i Verdi chiamano tutte le persone di buona volontà a battersi con noi nel completo silenzio di stampa e televisione su cui si avvolge la prossima prova referendaria del 17 aprile per dire un chiaro e netto SI a favore del mare,dell'energia pulita e alla fuoriuscita dal carbone e dal petrolio

Giachetti si fa sul serio


http://www.unita.tv/interviste/giachetti-non-ho-tempo-per-pensare-a-marino/

l'esperienza di un sindaco per la legalità a Riace


http://www.unita.tv/focus/mimmo-lucano-quando-lamore-per-gli-ultimi-diventa-potere/

votare si contro le emissioni


http://www.unita.tv/opinioni/votare-si-per-favorire-una-strategia-contro-le-emissioni/

Livorno:grillini e discarica


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/30/livorno-la-discarica-di-inerti-diventa-un-problema-anche-per-il-m5s-nogarin-mi-arrivera-un-avviso-di-garanzia-ma-non-mi-dimettero/2592763/

Daniela Pongiglione a primo canale


http://primocanale.us8.list-manage1.com/track/click?u=205e212849833c80df0cc80ff&id=270a4a1575&e=6d7a77784c

ricco sarà lei!!!!


http://www.repubblica.it/economia/2016/03/30/news/inps_pensioni-136534951/?ref=HREC1-11

Birmania dopo 50 anni un civile alla presidenza della repubblica

http://www.lastampa.it/2016/03/30/esteri/la-birmania-chiude-lera-dei-militari-dopo-anni-un-presidente-civile-cFgm1w6jEV00uhJdRGq6nI/pagina.html

Vannino Chiti:il PD deve favorire il voto

http://www.huffingtonpost.it/vannino-chiti/il-pd-favorisca-la-partecipazione-al-referendum-che-non-piace-a-galletti_b_9572170.html?utm_hp_ref=italy

Bersani va a votare(sai la notizia)

http://www.huffingtonpost.it/2016/03/30/pierluigi-bersani-referendum-trivelle_n_9572108.html?1459343076&utm_hp_ref=italy

isola di Budelli diventa pubblica

http://www.italianostra.org/?p=46522

beni pubblici e profitti privati

Beni pubblici o profitti privati

by Riccardo
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di Giorgio Nebbia
Il 23 marzo si è celebrata  la giornata mondiale dell’acqua per ricordare l’importanza di questa sostanza, che è risorsa naturale, alimento, mezzo di produzione, e da cui tutto dipende. Non a caso è la ventunesima parola che figura nel primo libro della Bibbia, quello della creazione di tutte le cose. L’acqua occorre per togliere la sete a uomini e animali, per fare crescere le piante; per gli esseri umani, poi, l’acqua, visibile ed invisibile, è presente dovunque, è indispensabile per fini igienici, è necessaria per il funzionamento delle fabbriche e delle centrali elettriche e delle raffinerie di petrolio, eccetera. La giornata dell’acqua è anche un’occasione per conoscere meglio il ciclo di una sostanza che non sta mai ferma: evapora dai mari, ricade al suolo sotto forma di neve e di pioggia, passa attraverso i campi, le città, le valli.
Sulla superficie dell’Italia cadono ogni anno circa 250 miliardi di metri cubi di acqua; circa il 60 percento di questa evapora dalla superficie e dalla vegetazione e circa 120 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno scorrono, instancabili, nei fossi, torrenti, fiumi e tornano al mare dopo aver raccolto sali e rocce del terreno e rifiuti, incontrati nel loro cammino. Ogni anno in Italia circa 20 miliardi di metri cubi di acqua sono prelevati dalle sorgenti, dal sottosuolo o dai fiumi per irrigare i campi, circa 5 per usi industriali e circa 10 per il rifornimento delle famiglie, ma di questi ultimi soltanto poco più di 5 miliardi di metri cubi all’anno arrivano nelle nostre abitazioni, venduti da circa 3.000 aziende; una perdita altissima di acqua e troppi gestori che non riescono ad assicurare una distribuzione adeguata. Prima di arrivare nel nostro rubinetto l'acqua viene analizzata e subisce vari trattamenti, imposti da severe norme europee che prescrivono, a fini igienici, quali sostanze possono essere presenti nell'acqua potabile e quali sono rigorosamente vietate.
servizio-idrico-acqua
Quale uso fa ciascuno di noi di questi cinquemila milioni di metri cubi di preziosa acqua potabile? La beviamo, prima di tutto, in ragione di circa un metro cubo all’anno per persona, circa 60 milioni di metri cubi all’anno. Una accorta propaganda ha diffuso l'idea che l'acqua del rubinetto “non è buona" e che è meglio bere l’acqua in bottiglia, per la maggior gloria di quelli che la vendono, assicurandosi alti profitti.“Grazie” a questo incantamento gli italiani consumano ogni anno 12 milioni di metri cubi di acqua in bottiglia che costano alle famiglie circa tre miliardi di euro all’anno; così va questo mondo. L'acqua del rubinetto viene impiegata per cuocere la minestra o gli alimenti (ma conosco dei furbi che cuociono anche la pasta con acqua in bottiglia), e poi viene usata per lavare il corpo, magari solo per una sciacquatina delle mani, per pulire gli utensili di cucina, gli indumenti, per scaricare i rifiuti giù dal gabinetto, per annaffiare strade e terrazze o lavare le automobili. Acqua preziosa, ad elevato grado di purezza, che viene così buttata via, sprecata.
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Il Comune ha finalmente votato lo Statuto di ABC Napoli
Adesso immaginiamo di fare un viaggio accompagnando i 5000 milioni di metri cubi di acqua usata dalle famiglie, giù dal lavandino o dagli scarichi dei gabinetti. Viaggio sgradevole ma utile perché ci porta a verificare lo stato della fognature - se ci sono - e a conoscere i depuratori. In Italia ce ne sono circa 10.000, ma soltanto la metà di questi depuratori pratica un trattamento appena soddisfacente e soltanto 2000 trattano le acque usate con un processo ”avanzato” che assicura una buona eliminazione delle principali impurità; anche questo mostra l’irrazionalità e la frammentazione di questo delicato sistema, essenziale per la difesa dell’ambiente e della salute. Alla fine del viaggio fra fogne e depuratori troviamo un fango maleodorante e dell'acqua usata che, in genere, viene gettata in qualche fiume o nel mare; eppure molte acque usate, se depurate in maniera efficace, potrebbero essere utilizzate in agricoltura.
Acqua-mineraLEstabilimento
La legge dice che tutte le acque, superficiali e sotterranee, sono pubbliche e costituiscono una risorsa da salvaguardare e utilizzare secondo criteri di solidarietà, anche tenendo conto delle aspettative e dei diritti delle generazioni future. Dopo parole così belle e nobili, la legge consente che delle acque “pubbliche” possano appropriarsi imprese nelle quali sono presenti ingenti capitali privati, che le vendono ai cittadini, secondo criteri di profitto finanziario, per cui l'acqua costa di meno dove è più abbondante e facile da ottenere e costa di più dove è scarsa: bella solidarietà! La legge dice che occorre risparmiare acqua, ma ben poco viene fatto per spiegare ai cittadini che l'acqua è scarsa in assoluto e lo diventerà anche dove oggi apparentemente è abbondante, a causa dei cambiamenti climatici che stanno alterando vistosamente la circolazione dell’acqua sia a livello planetario, sia a livello di singoli paesi.
Eppure i consumi di acqua potrebbero diminuire con una adeguata riprogettazione delle lavatrici, dei rubinetti, dei macchinari industriali, dei gabinetti, in modo da ottenere lo stesso effetto e servizio con meno acqua. Le scuole - è da lì che comincia l’informazione delle persone che saranno destinate a vivere in città assetate - sono la prima frontiera per far conoscere il problema, ma anche il fascino della circolazione e dell’uso dell’acqua, la più indispensabile fonte di benessere della vita individuale e urbana.

il cellulare serve?

http://www.ilcambiamento.it/stili_di_vita/senza_telefono_cellulare.html

le ragioni del si

Referendum del 17 aprile: l'opinione del direttore Armaroli
di  Nicola Armaroli

http://www.saperescienza.it/rubriche/sos-tenibilita/referendum-del-17-aprile-l-opinione-del-direttore-29-3-16

Ecco perché dobbiamo andare a votare, e votare "Sì", secondo Nicola 
Armaroli, direttore di Sapere.

Qual è la vera posta in palio con questo referendum?

Il significato di questo referendum va al di là del suo quesito 
specifico, che riguarda una questione quantitativamente minimale. Del 
resto è sempre stato così, sin dal referendum sul nucleare del 1987, 
dove non fu chiesto esplicitamente agli italiani se volessero o meno 
centrali in Italia. La vittoria del “Sì”, però, bloccò lo sviluppo del 
nucleare per 30 anni. Il referendum del 2011, cancellò poi per sempre 
questa opzione.
Il referendum del 17 aprile ha un cruciale significato politico: siamo 
chiamati a dire se vogliamo continuare una politica energetica legata al 
passato o se vogliamo che l’Italia s’incammini senza incertezze lungo la 
strada della transizione energetica alle fonti e tecnologie rinnovabili. 
È una questione su cui si gioca il futuro economico, ambientale e 
occupazionale dell’Italia, perché l’energia è il motore di tutto.


Nello specifico, su cosa votiamo il 17 aprile?
Ci esprimeremo su un unico quesito referendario, promosso da 9 regioni, 
che chiede questo: vogliamo che siano revocate o mantenute le 
concessioni per l’estrazione di petrolio o gas naturale in mare – entro 
le 12 miglia dalla costa – che scadranno tra il 2017 e il 2027? Si 
tratta di circa 20 concessioni che, in caso di vittoria del “Sì”, 
continueranno comunque a essere valide sino alla loro scadenza attuale.
Il quesito non riguarda le concessioni oltre le 12 miglia marine.


Cosa è esattamente una concessione e quanto dura? È cambiato qualcosa di 
recente nel regime di queste concessioni?
Le risorse del sottosuolo sono proprietà dello Stato, che però non si 
dedica direttamente ad attività estrattive ma le affida “in concessione” 
ad aziende energetiche specializzate. La procedura è complessa: prima lo 
Stato rilascia “permessi di ricerca” che, in caso di ritrovamento di 
risorse sfruttabili, possono evolvere in “concessioni di coltivazione”. 
Sulla base di queste ultime, le aziende realizzano le infrastrutture 
necessarie alla produzione, tra cui le piattaforme e i pozzi.
Fino allo scorso anno la legge italiana prevedeva che le concessioni di 
coltivazione (ovvero di estrazione) di idrocarburi durassero 30 anni, 
prorogabili per ulteriori 5 o 10 anni. La Legge di Stabilità 2016 
stabilisce che tali titoli non abbiano più scadenza e restino in vigore 
“fino a vita utile del giacimento”.
Cliccando sui link seguenti è possibili sapere quante sono le 
piattaforme che operano entro e oltre le 12 miglia marine.


Le concessioni che sarebbero progressivamente revocate nel prossimo 
decennio, in caso di vittoria del “Sì”, dove sono e a quali aziende 
appartengono?
Queste concessioni riguardano il mare Adriatico (di fronte alle coste di 
Emilia-Romagna, Marche e Abruzzo), il mar Ionio (provincia di Crotone) e 
il canale di Sicilia (provincia di Ragusa e Caltanissetta). La maggior 
parte riguarda esclusivamente estrazione di gas, solo 5 riguardano anche 
petrolio (una di queste unicamente petrolio). Le aziende titolari delle 
concessioni sono ENI (o sue controllate) e Edison.


Quanto petrolio e gas possiamo ancora estrarre in Italia, complessivamente?
I dati sono consultabili presso il sito del Ministero. Le risorse sono 
stimate in 3 categorie:

    certe (probabilità > 90% di essere prodotte)
    probabili (> 50%)
    possibili (> 10%)

Nella improbabile e ultraottimistica ipotesi che le risorse certe e 
probabili siano interamente estratte e sfruttate, l’Italia coprirebbe 
meno di 2 anni di domanda di gas e poco più di 3 anni di domanda di 
petrolio, agli attuali livelli di consumo.
A questo proposito è importante rilevare due dati significativi:

    tra il 2005 e il 2014 i consumi di gas in Italia sono calati del 
28% e quelli di petrolio del 33%, non siamo un Paese disperatamente alla 
ricerca di nuovi approvvigionamenti;
    i costi di estrazione di petrolio in Italia si aggirano attorno ai 
50 $/barile. Con i prezzi attuali, attorno ai 40 dollari, la produzione 
italiana (assieme a quella in molte altre aree geografiche) è fuori 
mercato. L’Arabia Saudita, abbassando di proposito il prezzo del 
petrolio, ha raggiunto lo scopo di imporsi, ancora una volta, come 
regista del mercato mondiale.

In questo scenario l’Italia e l’Europa, con le loro misere riserve 
residue, non hanno voce in capitolo: è sommo interesse strategico 
nazionale pianificare l’abbandono progressivo degli idrocarburi.


Viste le esigue quantità disponibili, perché è appetibile estrarre 
idrocarburi in Italia?
In Italia vige un regime di concessione estremamente "benevolo", che 
aveva ragion d’essere quando ENI era al 100% proprietà dello Stato ed 
era di fatto l’unica azienda impegnata nello sfruttamento degli 
idrocarburi nazionali. Oggi ENI è una società per azioni quotata in 
borsa e opera in competizione con altre aziende private, spesso 
straniere. Questo vecchio regime di concessione è oggi vantaggioso solo 
per le aziende energetiche, non per la collettività nazionale.
I canoni per i permessi di ricerca e le concessioni di coltivazione 
ammontano a poche decine di euro per km2. Altrettanto basse sono le 
percentuali sugli utili che le aziende energetiche pagano allo Stato 
(royalties): per il petrolio in mare sono del 7% e per il gas del 10%, 
ma sono pagate solo oltre una certa quota produttiva (quindi conviene 
produrre poco…). Tra l’altro, il sistema della royalties è ormai 
superato in tutti i Paesi più avanzati, tranne appunto l’Italia. 
Normalmente le aziende versano allo Stato una percentuale dei profitti 
che, in Norvegia, sfiora l’80%!


A quanto ammontano le royalties pagate dalle aziende che estraggono 
idrocarburi?
Tutti i dati sono presenti sul sito del Ministero. Nel 2015 lo Stato ha 
incassato 55 milioni di euro, una cifra irrisoria nel bilancio 
nazionale. Le Regioni hanno incassato 163 milioni, di cui 143 alla sola 
Basilicata (16 milioni al Comune di Viggiano, che conta 3200 abitanti). 
L’Emilia Romagna – che ha 4,5 milioni di abitanti e un bilancio 
regionale di 12 miliardi – ha incassato 7 milioni. 1,5 euro per 
abitante: un’elemosina che non compensa neppure i danni ambientali di 
questo tipo di attività, in primis la subsidenza.


Nel caso di vittoria del “Sì”, che senso avrebbe lasciare nel sottosuolo 
petrolio e gas, dato che le infrastutture di estrazione sono già in loco?

Ci sono almeno quattro buoni motivi per lasciarli dove sono:

    Non è accettabile che alle compagnie petrolifere debba essere 
concessa la disponibilità di una risorsa pubblica a tempo indeterminato. 
Nei Paesi democratici è regola porre precise scadenze temporali alle 
concessioni date a società private che sfruttano beni appartenenti allo 
Stato, cioè a tutti. Le regole dello Stato liberale debbono valere 
sempre e per tutti.
    Come recita il movimento britannico Keep it in the ground, dobbiamo 
essere consapevoli che il margine per ulteriori aggiunte di CO2 in 
atmosfera è ormai minimo. Gli idrocarburi vanno lasciati il più 
possibile dove sono perché la destabilizzazione del clima è una delle 
più imponenti minacce che grava sul futuro della nostra civiltà. 
Cominciamo da casa nostra.
    Per disinnescare altri quesiti referendari, il Governo ha vietato 
per legge nuove concessioni entro le 12 miglia marine, anche perché 
ritenute potenzialmente dannose per un’attività ben più rilevante per 
l’economia italiana: il turismo. È ragionevole liberare definitivamente 
le acque territoriali italiane dai rischi connessi a queste attività.
    Certificato che queste sono le ultime risorse di petrolio e di gas 
che abbiamo in Italia, abbiamo il dovere morale di lasciare qualche 
risorsa del sottosuolo anche alle generazioni future. Non sta scritto da 
nessuna parte che dobbiamo consumare tutto noi.



Quali tipi di rischi ambientali esistono?

Gli impatti ambientali degli idrocarburi cambiano a seconda che si 
tratti di ricerca, estrazione o uso.
Nella fase di ricerca dei giacimenti, può essere utilizzata la tecnica 
di indagine geofisica nota come “Air-gun”, che potrebbe avere un impatto 
negativo sulla fauna marina (il tema è controverso).
Per quanto riguarda l’estrazione, uno degli impatti più seri – che 
colpisce in particolare l’Adriatico settentrionale – è la subsidenza, un 
fenomeno naturale esacerbato dalle attività di estrazione, che ha già 
causato molti danni. È poi stato rilevato di recente che nei pressi 
delle piattaforme in mare vi è un aumento della concentrazione di 
diversi inquinanti. Inoltre, nonostante si tratti di un rischio a 
bassissima probabilità, un ingente sversamento accidentale di petrolio 
in mare avrebbe conseguenze ambientali ed economiche catastrofiche. In 
particolare per l’Adriatico, che è un mare molto chiuso, caratterizzato 
da una profondità media inferiore a 100 metri nella parte 
centro-settentrionale.
Infine abbiamo un problema di carattere più generale: la produzione di 
idrocarburi ci fa rimanere legati a un sistema energetico che 
contribuisce a causare milioni di morti ogni anno per inquinamento 
atmosferico e accresce la temperatura del pianeta attraverso gli scarti 
dei processi di combustione. Con l’Accordo di Parigi, il nostro Governo 
ha dichiarato di voler fare la sua parte per la lotta ai cambiamenti 
climatici. È ora che l’Italia adotti, nei fatti e non solo a parole, una 
politica energetica coerente sino in fondo con gli accordi che 
sottoscrive a livello internazionale.



Qualcuno obietta che estrarre idrocarburi in Italia aumenta il rischio e 
il danno ambientale globale poiché, in alternativa, si estrarrebbe in 
Paesi con minori controlli ambientali. Inoltre, transiterebbero più 
petroliere nei nostri mari.

Rinunciare a meno dell’1% di consumo nazionale di petrolio equivale al 
carico di tre petroliere di medie dimensioni in un anno. Inoltre, 
l'ultimo grande incidente petrolifero (Golfo del Messico, 2010) è 
avvenuto a una piattaforma e non a una petroliera.
A proposito di inquinamento, occorre poi sottolineare che le grandi 
multinazionali europee, che vorrebbero trivellare i nostri fondali 
marini vantando grandi performance ambientali, non brillano su questo 
aspetto nelle aree produttive più povere del mondo, come per esempio il 
Delta del Niger in Africa. Le pratiche di sostenibilità ambientale non 
possono valere solo laddove i controlli sono più stretti, ma debbono 
valere sempre.



Limitando l’industria estrattiva in Italia, ci saranno impatti negativi 
sull’occupazione?

La maggior parte degli italiani addetti al settore estrattivo lavorano 
all’estero. Considerando il quadro qui descritto, l’eventuale effetto 
sull’occupazione in Italia sarebbe ridotto e diluito nel tempo. Occorre 
poi sottolineare che il numero di posti di lavoro creati dalla filiera 
rinnovabile, che è il futuro, è almeno quatto volte superiore a quello 
dell’industria degli idrocarburi, che è il passato. Quest'ultima è per 
sua natura a bassa intensità di lavoro.
In questi ultimi 3-4 anni sono state perse decine di migliaia di posti 
di lavoro, a causa delle politiche miopi e vessatorie che hanno tagliato 
le gambe all’ascesa delle rinnovabili per favorire, ancora una volta, i 
combustibili fossili. Si tratta per lo più di aziende piccole e 
piccolissime che spesso non hanno voce, ma è stata una vera e propria 
ecatombe.
Anche in un Paese poco propenso a progettare il futuro come l’Italia 
bisognerà farsene una ragione: tutte le transizioni epocali innescano 
grandi ristrutturazioni industriali e occupazionali. La transizione 
energetica non farà certo eccezione.


Il Governo ascolta la comunità scientifica?
Attraverso un’esperienza di oltre 15 anni, posso dire che tutti i 
Governi, di qualsiasi colore, hanno sinora sistematicamente ignorato la 
voce della comunità scientifica sui temi dell’energia. Nell’ottobre 
2014, assieme ad alcuni colleghi di Università e centri di ricerca di 
Bologna abbiamo inviato una lettera al Governo, nella quale chiediamo di 
aprire un confronto sulla Strategia Energetica Nazionale. Nessuno ha 
avuto il garbo istituzionale di rivolgerci un cenno. Nella maggior parte 
dei Paesi avanzati esistono strumenti per far dialogare i diversi attori 
sociali portatori di conoscenze e interessi diversi (politici, 
scienziati, tecnici, cittadini).


Cosa perde e cosa guadagna l’Italia, limitando le estrazioni di idrocarburi?
Numeri alla mano, l’Italia perde davvero poco. D’altro canto, 
privilegiando lo sviluppo del settore delle energie rinnovabili – 
manifatturiero e conoscenza – ne guadagnerebbe enormemente in termini di 
innovazione e posti di lavoro, di qualità della vita delle persone, di 
rispetto degli impegni internazionali. Penso poi che la promozione del 
turismo, del cibo e dell’agricoltura di qualità siano valori 
inestimabili che non dobbiamo mettere a rischio per nessuna ragione. 
Tanto meno per estrarre quantità residuali di idrocarburi, 
sostanzialmente regalate ad alcune grandi aziende energetiche.


È possibile far funzionare la civiltà moderna solo a energia rinnovabile?
Non solo è possibile, ma è anche un’opzione senza alternative. I 
combustibili fossili inquinano e compromettono il clima. L’unica 
possibilità di sopravvivenza per la nostra civiltà è passare nel più 
breve tempo possibile all’uso dell’unica fonte energetica illimitata di 
cui disponiamo, il Sole. Senza però dimenticare che solo utilizzando in 
modo oculato le (limitate) risorse naturali a nostra disposizione 
(metalli, acqua dolce, biomasse, ecc.) saremo in grado di fabbricare i 
convertitori e gli accumulatori di energia solare che ci servono.
Sarà una sfida molto complessa, ma non impossibile.


L’Italia a che punto è?
Se avete in casa una bolletta elettrica di qualche anno fa, 
confrontatela con quella di oggi. Nell’ultima pagina troverete i dati 
delle fonti primarie utilizzate per produrre elettricità in Italia. 
Vedrete che nel 2008 il 48% era ottenuto bruciando gas, mentre le 
rinnovabili contribuivano con il 27%. Oggi la situazione è quasi 
ribaltata, siamo 28 a 43. Quindi, non abbiamo bisogno di più gas, ma di 
meno gas.
Non c’è alcuna ragione al mondo per bloccare questo processo epocale.
Se non vogliamo farci rubare il futuro, il 17 aprile dobbiamo andare a 
votare.

E votare "Sì".