martedì 29 marzo 2016

migranti e media

I migranti, i media e le non-notizie

by JLC
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Foto tratta dalla pagina facebook di Réfugiés Bienvenue
di Marino Ficco
“Hai mai letto Le vene aperte dell’America Latina?” mi domanda Ahmed, giovane Saharawi arrivato pochi mesi fa a Bordeaux per cercare un lavoro. “È un grande libro! Galeano ha fatto tanto per raccontare le storie dimenticate o ignorate dai più. Come quella del mio popolo. Ti consiglio di leggerlo!”.
Da mesi i media europei non parlano d’altro: l’emergenza immigrazione. In alternativa si parla di crisi migratoria. Le parole sono sempre importanti. In questo contesto lo sono più che mai. I lettori e i telespettatori sono bombardati da articoli e servizi che associano le parole crisi ed emergenza al fenomeno migratorio verso l’Europa degli ultimi anni. Ma è corretto parlare di crisi ed emergenza per un fenomeno che dura dalla fine degli anni Novanta?
Dopo i fatti della notte di San Silvestro a Colonia, per settimane l’opinione pubblica tedesca ed europea è rimasta scossa e disorientata. I media riportavano le storie agghiaccianti di stupri di massa nei pressi della stazione. Basandosi su testimonianze imprecise e parziali, per mesi la stampa europea ha accusato dei richiedenti asilo generici e non meglio identificati quali autori di queste atrocità. Tre settimane fa è terminata l’inchiesta della polizia tedesca: 58 arresti e tra di loro solo tre richiedenti asilo.
È un rapporto complicato quello tra i media e i migranti. È un fenomeno che piace alle redazioni perché permette di ottenere foto, video e testimonianze molto emozionanti. È una realtà che fa discutere, che interessa tutti, dalla gente comune alla politica. È ridicolo vedere più giornalisti che migranti a Calais. Alla frontiera tra Macedonia e Grecia ci sono più macchine fotografiche che famiglie siriane e afghani. Le notizie che riceviamo sono imprecise. Cifre. Migliaia di persone disperate e pronte a tutto per arrivare in Europa. Foto. Bimbi e adulti che non riescono a completare la traversata morti affogati e spiaggiati. Le cifre ci spaventano. Ci parlano di un’invasione. Le foto ci commuovono. Magari ci indigniamo. Ma poi cerchiamo scuse per non far niente e riprendere la nostra vita.
Dopo tutto, perché vengono proprio qui? Ci poniamo questa domanda come se ignorassimo che siamo i responsabili di questo sistema economico ingiusto che ci permette di mantenere un livello di vita e servizi molto alti grazie allo sfruttamento delle risorse altrui. Ci lamentiamo dei migranti che vengono sfruttati come schiavi nei campi agricoli del Sud Italia. Però al tempo stesso ci fanno comodo perché senza di loro non potremmo pagare i pomodori un euro al chilo. Ci lamentiamo dei bengalesi. “Sono davvero troppi”. Però ci fa comodo andare a fare la spesa nei loro negozi alimentari fino all’una di notte, farci lavare i vetri della macchina per qualche centesimo, comprare un l’ombrello quando piove o il bastone per i selfie a cinque euro.
“Tra di loro possono esserci anche dei terroristi!” dicono coloro che dimenticano che è proprio dai terroristi che molti migranti stanno fuggendo. E dimenticano anche che i terroristi hanno i mezzi e gli strumenti per falsificare i documenti e compare un biglietto aereo. “Ci rubano il lavoro” dicono coloro che hanno la coda di paglia. Forse temono che arrivi qualcuno più bravo e competente di loro. Il lavoro è di chi se lo merita. “Vengono solo per fare fortuna” come se fosse un peccato voler vivere una vita dignitosa e migliorare le condizioni della propria famiglia. La verità è che ci portano fortuna: il Prodotto interno lordo creato dai lavoratori stranieri in Italia è pari a 123 miliardi di euro, pari all’8,8 per cento del totale.
“Ma non possiamo essere noi ad accogliere tutti” dicono coloro che ignorano che il Libano ha sei milioni di abitanti e oltre un milione e mezzo di rifugiati. La Germania ha 82 milioni di abitanti e l’anno scorso ha riconosciuto l’asilo a 41mila persone. L’Italia ha sessanta milioni di abitanti ed attualmente il sistema d’accoglienza ospita poco più di 90mila profughi, tra centri governativi e regionali. Se poi si considerano tutti gli “stranieri” residenti in Italia si arriva a quota 5 milioni: 1/12 della popolazione totale.
L’ipocrisia è tanta. “Sono violenti, cattivi, sporchi, nullafacenti, criminali e portano malattie” si diceva degli italiani negli Stati Uniti cent’anni fa. Adesso tutti temono la scabbia. È come prendere i pidocchi. Basta un trattamento con una pomata e finisce lì. Se poi ci si lava regolarmente non c’è niente da temere. Tante famiglie sarebbero disponibili ad accogliere in casa un migrante ma spesso quando scoprono che è musulmano vanno nel panico e cambiano idea. “Preferirei un cristiano, almeno sono sicuro che non sia un terrorista”, cadendo nell’errore di chi confonde i musulmani con coloro che abusano della religione e dell’Islam per realizzare i loro interessi politici ed economici criminali.
Sono tante le notizie che danno speranza e che non trovano abbastanza spazio: la novità dei corridoi umanitari con la Siria, che da qualche giorno permettono a decine di profughi di arrivare in Europa in aereo senza rischiare la vita e finanziare i trafficanti di uomini; i privati cittadini che comprano o noleggiano navi per andare a salvare i naufraghi nel Mediterraneo facendo quello che faceva l’Italia con la missione Mare Nostrum… avete mai sentito parlare della nave Aquarius o della fondazione Moas? Che diritto abbiamo sulla “nostra” terra? Il caso ha voluto che nascessimo sulla sponda fortunata del Mediterraneo. Che fare? Intanto è necessario aprirsi all’incontro, prepararsi alla convivialità delle differenza. Ma come? Un primo passo potrebbe essere seguire il consiglio di monsignor Giancarlo Bregantini: osservare, non giudicare e cercare di capire. Alcuni lo stanno già facendo: penso a Xavier, un pensionato di Calais che passa le giornate a conoscere e ad assistere quanti si rivolgono alla Caritas locale; penso a Beatrice, Sarah, Matt e a tutti i ragazzi dell’associazione studentesca parigina Réfugiés Bienvenue, che con grande dedizione ed efficacia fanno quello che lo Stato e noi tutti non abbiamo il coraggio di fare: tra una lezione e l’altra incontrano questa umanità in marcia, camminano con loro, li aiutano a trovare un alloggio, delle amicizie, quel calore umano che non fa spegnere la speranza.

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