venerdì 30 giugno 2017

domani

 30/06/2017 16:14 CEST | Aggiornato 1 ora fa
HP
Ci saranno, in massa, i "compagni" di Lecce, appena conquistata dal centrosinistra, dove l'intero gruppo dirigente è passato, il minuto dopo la vittoria, ad Articolo 1. Ben 101 – proprio così, 101 – tra amministratori, consiglieri comunali, "quadri", per costruire un'altra cosa, "alternativa" al Pd": "Il Pd è mutato geneticamente – dice Salvatore Piconese, l'ex segretario – allontanandosi dai suoi valori fondativi. È il Pdr: torsione personalistica, la venatura populista e plebiscitaria, unita all'occupazione di uno spazio puramente centrista nel panorama politico nazionale". Ci saranno parecchi pullman dalla Basilicata e dalla Campania, con tanto di striscione di oltre cinque metri, rosso pure quello, "la Campania c'è". E anche il potente capogruppo del Pd in Emilia Romagna Stefano Caliandro, che al congresso ha sostenuto Andrea Orlando: "Io andrò. Il Pd è nato per unire, e per unire va ricreata una connessione sentimentale col popolo della sinistra ci ha abbandonato, rifugiandosi nell'astensione. Per ricreare questa connessione occorre partire dai bisogni, non dai personalismi".
La piazza dell'Ulivo diventa una piazza rossa. Rossa e arancione, i colori dietro il palco, dove lo slogan è "Nessuno escluso", traduzione non proprio letterale del "For the many, non for the few" di Jeremy Corbyn: "Il messaggio – dice Roberto Speranza – è semplice: il renzismo va archiviato, superato. Punto. Certe critiche che sento dentro il Pd vanno bene, meglio tardi che mai, ma bisogna entrare nel merito: scuola, lavoro, sanità. Il nostro popolo ci ha lasciato come conseguenza di politiche sbagliate. Ora spetta a noi, fuori dal Pd, il compito di costruire un campo largo".
Eccolo, il fatidico primo luglio a piazza Santi Apostoli, luogo simbolo dell'Ulivo che fu. Trenta gradi all'ombra previsti e anti-renzismo rovente della piazza: "Se a quelli che vengono – dicono gli organizzatori - proponi l'alleanza col Pd di Renzi, ti tirano le bandiere in testa". Il palco, come si sa, è politica nelle manifestazioni della sinistra, il "chi" e "quando" parla. L'ultimo copione, messo a punto nella mattinata, prevede nella parte iniziale un video di Claudio Amendola, core rosso de' Roma, poi gli interventi di Francesca Chiavacci, la presidente dell'Arci, di Valerio Onida, costituzionalista che si schierò per il NO al referendum. Prenderà la parola anche Leoluca Orlando, appena rieletto sindaco di Palermo con un rapporto non proprio d'amore col Pd, che la volta scorsa non lo aveva sostenuto e questa volta, per sostenerlo, ha dovuto rinunciare al suo simbolo. Gran finale, con Bersani e Pisapia. "Insieme", il nome scelto per rappresentare la sintesi tra Articolo 1 e Campo Progressista, nome che, se funziona, potrebbe diventare, questa è l'intenzione, il nome della lista o del soggetto che si presenterà alle prossime politiche. Inclusivo, questa è l'altra intenzione, per gli altri che arriveranno: pezzi di sinistra, società civile. In piazza ci saranno Pippo Civati (Possibile), Stefano Fassina (Sinistra italiana), e i Verdi di Angelo Bonelli.
Quando Giuliano Pisapia, il leader in pectore di questo nuovo soggetto, prenderà la parola, la piazza avrà già espresso la sua distanza dal Pd renziano. Raccontano i suoi che sarà il discorso della "rottura degli indugi". Certo, l'ex sindaco di Milano è uomo mite nell'indole e prudente nell'eloquio, ma le ultime settimane hanno parecchio indurito la sua posizione, anche perché è personalmente infastidito da come il suo nome è stato usato, neanche fosse una foglia di fico del renzismo a sinistra. "Discontinuità" rispetto alle politiche di questi anni è la parola che nel discorso sancirà la fine di ogni cinguettio con Renzi. E anche l'assenza di formule del politicismo tipo "primarie" che hanno alimentato una certa ambiguità. Uno dei suoi amici, ispiratori del discorso, dice: "La distanza da Renzi c'è tutta. Sarà attento a chiedere una discontinuità, ma senza chiudere del tutto al Pd".
È il solito copione. Fosse per Pisapia, e non solo per lui, sulla carta sarebbe auspicabile un'intesa col Pd: coalizione, nuovo centrosinistra, eccetera eccetera. Il problema è che il primo a non voler cambiare schema è il segretario del Pd. Dice un bersaniano di ferro. "Siamo realistici. Si voterà col proporzionale e il Pd non si libererà di Renzi". In mezzo i dialoganti, con la corrente di Orlando praticamente tutta in piazza: Cupero, Damiano, Zingaretti, Elisa Simoni. Ma anche i cattolici democratici, dal lettiano Marco Meloni a Bruno Tabacci a Franco Monaco, l'ombra di Prodi nella nascente "cosa" di sinistra. A proposito, l'attivismo del Professore non è molto gradito dalle parti di Bersani e D'Alema, perché rischia di alimentare l'ambiguità, con tutto questo chiacchiericcio sulla coalizione. Del Pd si auspica l'implosione, non l'alleanza

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